Un caro benvenuto a Brodolfo Sgangan (B.S.), Randy Molesto (R.M.) e Nestor Fasteedio (N.F.): Supercanifradiciadespiaredosi.
B.S.: Grazie a te dell’invito!
R.M.: Ciao e grazie a te.
N.F.: Ciao.
Iniziamo la nostra chiacchierata con una domanda di rito: come nascono i Supercanifradiciadespiaredosi e cosa c’è prima dei Supercani nella vita di Brodolfo?
B.S.: Se intendi la vita musicale, almeno altri dieci gruppi (con alcuni si è anche inciso qualcosa, demotape soprattutto), sai, quando si è giovani e si ha tempo, si usa così. I Supercani sono nati una sera ad un concerto, quando Gianluca (ora Granfranco Baffato, primo batterista della band) mi incontra (eravamo entrambi a quel tempo senza gruppo) e mi propone di formare una band. “Ho già il nome: Supercanifradici” e io di rimando “adespiaredosi”. Una settimana dopo eravamo già a provare, era l’inverno 2001/2002. Il primo concerto l’abbiamo fatto il primo maggio 2002. È andata subito bene, ci hanno cacciato dal palco per via di un testo. Il titolo era “Perineo Song”. Ah ah ah!
Hai già accennato alla sua nascita, ma il nome assurdo Supercanifradiciadespiaredosi cosa significa?
B.S.: Beh, principalmente è la storpiatura della frase liberatoria del film “Mary Poppins” “supercalifragilistichespiralidoso”: è una parola che dicendola ti fa stare bene. Super Cani (come musicisti) che sono “bagnati” (essere “bagnato da qualcosa”, significa che il ricordo ti strapazza l’anima, ti tocca) e con questo combo creativo “espiamo le dosi” di (non si dice) che ci siamo fatti in precedenza, in pratica espiamo tutte le esperienze fatte fino a quel momento e le sudiamo fuori. E questo sudore tu lo percepisci con le orecchie. Chiaro no?
Sin da principio decidete che l’occhio nero, la canottiera puzzolente e il collare saranno gli elementi distintivi nei concerti. Un comune mortale si chiederebbe: perché?
B.S.: E io ti rispondo: perché no? Mi è sempre piaciuto che una band sia riconoscibile a prima vista. L’occhio da dalmata (e il collare) puoi ricondurlo ai “supercani”, anche se, in realtà (e non c’entra nulla), è stato ispirato dal grande Paolo Migone. Inizialmente è vero, avevamo le canottiere puzzolenti, quelle bianche di lana. I primi tempi non le lavavamo neppure, le abbiamo indossate per anni, fino a che non ci si sono sciolte addosso. Con quelle potevamo “sudografare” i CD. Poi abbiamo optato per delle magliette con il logo.
Avevamo anche le Dominatrix (amiche che si prestavano): ci “guinzagliavano” e salivamo a quattro zampe sul palco abbaiando tra la folla, poi indossavamo gli strumenti e via! Son cose carine che adoro ricordare.
Per quanto riguarda i collari ce li confeziona la nostra cuoiaia di fiducia Maria Clara. Per noi indossare queste cose è come entrare nel personaggio e cliccare “on”, come quando Stallone, in “Over the top”, gira il cappellino.
Tra 2003 e 2004 registrate la demo “Colosso Bauroso” e l’album “Mondo Cane”, lavori che suggellano un periodo in cui la chitarra viene gradualmente messa da parte in favore di due bassi (e un computer). Mi parli un po’ di questi due lavori?
B.S.: “Colosso Bauroso” è stata la prima registrazione in assoluto fatta “rigorosamente in mono” da Christian Marchi che ci ospitava, nel primo periodo, nella sua cantina. Poi ci ha cacciato e siamo stati costretti a cercarci una sala prove. Questo promo-CD è molto grezzo ma incarna già il nostro sound che all’epoca era alquanto anarchico e, in pratica, ci è servito come base per “Mondo cane”: è questo è il nostro primo CD. Ricordo di aver progettato e disegnato la cover in cartoncino e poi assieme ne abbiamo ritagliate e assemblate a mano nel tempo quasi 400 copie. Conteneva anche un adesivo. Diciassette pezzi totalmente eterogenei, tra punk, HC, pop, metal, eccetera. Oltre ai due consueti bassi, in qualche pezzo suonavo la chitarra (abbandonata perché era una menata per me portarmi dietro ogni volta due amplificatori e uno strumento in più) e in più c’era un altro cantante, Remo (o Re(u)mo, che ora vive in Spagna). L’utilizzo del computer verrà dopo il secondo CD: “Millanta Cosae”. “Mondo Cane” lo considero un disco meraviglioso e imprevedibile perché è “poco pensato” e molto istintivo e ci abbiamo buttato dentro tutto, forse troppo. Pensa che lo abbiamo registrato in un giorno(!). Adoro ascoltarlo in mp3 perché rende meglio. È un’autoproduzione.
E i primi anni si confermano vivacissimi, tra palco e studio, tanto da ritrovarvi ancora con nuovo materiale pronto da far ascoltare. Ne sono testimonianza la “The Denny Bordello Sesshon” (2006), il singolo “Forza di gravidanza” (2006) e “Millanta Cosae” (2007). Quanto differiscono dai precedenti due lavori (o quanto proseguono il cammino iniziato pochi anni prima)? E cosa troviamo al loro interno?
B.S.: Ogni nostro CD è preceduto da un “promo” che noi titoliamo e “copertinizziamo” come se fosse un disco a sé. In realtà ci serve per capire cosa funziona e cosa no, quale sarà la sequenza dei pezzi, ecc. “The Denny Bordello Sesshon” è stato registrato nell’allora nostra sala prove da… Denny Bordello (Davide Buldrini). Ne abbiamo anche una versione dove ci canta un nostro amico, Felix Lalù (fa il cantautore pazzo). Questa collaborazione è proseguita nel singolo “Forza di gravidanza” (pezzo presente in “Millanta Cosae”) e nella realizzazione del mini concerto acustico che avevamo tenuto poco prima della presentazione del CD successivo, “Millanta Cosae”(2007). Questo concerto acustico conteneva tre pezzi del disco ma anche cover e inediti. Utilizzavamo oggettistiche e sguazzavamo nel cabaret. Durante questo concerto fatto in una galleria d’arte abbiamo distribuito in regalo le trentacinque copie del singolo (confezione fatta a mano e fotocopiata) a tutti quelli che ci hanno raggiunto in studio per i cori del pezzo. Per cui è introvabile. Questo concertino acustico (durava 45 minuti) l’abbiamo replicato una decina di volte… ed era stato pensato solo per quell’occasione…
Poi è uscito “Millanta Cosae”, autoprodotto, che forse è il CD che ha caratterizzato di più l’immaginario dei SCFAED di quel periodo. È piaciuto molto, ne sono andate negli anni tutte e 500 le copie stampate (autoprodotte). In questo disco ci sono i due soliti bassi, la batteria e una tastierina Casio amplificata. Una figata. Pensa che nel solo 2007 abbiamo fatto circa 70 concerti.
…e, in questa fase, scoprite anche le vostre voci!
B.S.: Esatto! È con “Millanta Cosae” che cominciamo a sperimentare con le voci, cantiamo in tre e scopriamo la bellezza dei cori e degli incastri.
Ciò che segue è un rallentamento, qualche defezione e, infine, si riparte con forza: è il 2011, la “rinascita”. In questo momento si palesa un’esperienza nuova dal punto di vista compositivo: subentra prepotentemente un nuovo modo creativo di comporre. Ti va di approfondire questa novità?
B.S.: Purtroppo Granfranco se ne va (non prima di un clamoroso concerto spalla ai NoMeansNo) e perdiamo un po’ di tempo per trovare il sostituto. Lo troviamo in Maglio Perforante (Manuel Pisoni) che registra le parti batteristiche di “Superbau” tutte alla prima take. Un mostro. La novità è rappresentata nel consolidamento delle due voci rimaste (Findut e Brodolfo) e dai campioni gestiti da Findut con il suo Poteidofono. Tutti i campioni sono stati suonati e creati da noi, un bel click nelle cuffie del batterista e tanta voglia di riscatto, dopo la ferita e l’abbandono di Gianluca.
E poi ancora concerti e la celebrazione dei vostri primi dieci anni di carriera con un nuovo album: “Superbau” (2012). A te la parola su questa nuova prova discografica.
B.S.: “Superbau” ha visto la luce grazie alla produzione di Alex Carlin (Gulliver Studio Records) che, memore di un concorso vinto in passato, ci mette a disposizione il suo studio per registrare tre pezzi. Finirà per produrre tutto l’album che è diventato un CD “digibook”, una splendida confezione cartonata con libriccino di quindici disegni fatti da me, descrittivi di ogni pezzo. Sono molto legato a questo disco perché racchiude le nostre due anime del periodo: quella funky e l’altra elettronica. Di base c’è il rock, ma i campioni ti portano in una nuova dimensione. Usciti dallo studio se ne va Manuel (che sforna il quarto figlio – non lui, la moglie – e appende le bacchette al chiodo) e subentra Randy Molesto (Renzo) che dona, come si suol dire, nuova linfa al gruppo. Con Manuel siamo stati unmasked per sette concerti. Poi con Renzo si è tornati a puntare anche sul look collari-occhio-magliette.
E successivamente, appunto, in squadra arriva Randy Molesto. Randy, come entri in contatto con questa “banda di matti” e cosa c’è nel tuo percorso artistico prima dei Supercanifradiciadespiaredosi?
R.M.: Allora… Mi ricordo che un pomeriggio è suonato il telefono, rispondo ed era Boris che mi contattava per entrare nei Supercani, la mia risposta è stata “Quando ci troviamo?”. Trento è piccola e ovviamente conoscevo già i Supercani e sapevo cosa facevano e il loro potenziale, quindi non ci pensai nemmeno un secondo; per un batterista suonare in una formazione con due bassi e senza strumenti per antonomasia “armonici” è molto appagante perché ti devi inserire e incastrare in un assetto ritmico più elaborato e hai più spazio per giocare su accenti, contrattempi e sfumature ritmiche. A quella telefonata è seguita una fase impegnativa di prove per preparare tutta la scaletta (ai tempi usavamo delle basi, e quindi tutto a metronomo, e non c’era spazio per l’improvvisazione) e portare in giro “Superbau”, che era stato registrato ma non ancora presentato.
Il mio “background” direi che era già molto variopinto, ho 58 anni e ho iniziato a suonare a 13, e senza interruzioni (anche il mio servizio militare l’ho fatto nella fanfara alpina), e quindi gruppi ne ho passati proprio tanti, tra speranze, illusioni e a volte delusioni, ma comunque non cambierei una virgola di ciò che è stato.
Mai domi, nel 2017 siete pronti per il vostro quarto album in studio: “Geni compresi”. Mi narrate la genesi di questo lavoro?
B.S.: Finalmente esce il disco composto con Renzo in vari anni, ci tenevamo particolarmente. Questo CD, a mio avviso, è il più eterogeneo di tutti, il più vario e colorato, c’è veramente di tutto. E dentro ci sono un sacco di ospiti che caratterizzano ogni brano del lavoro: sono loro i “Geni Compresi” e non noi, come pensato e detto da alcuni. Qui torniamo all’autoproduzione. Grandiosa la copertina di MarPlo (Marcello Plotegher) che ci porta nello spazio (non è e non sarà l’ultima volta) e descrive perfettamente la parabola dei Supercanifradiciadespiaredosi fino a quel momento. Sono molto fiero di tutti i brani e, pur mantenendo le nostre radici, siamo riusciti a “svarionare” di brutto e saltare da un genere all’altro spero senza annoiare. Dal vivo le cose sono leggermente più omogenee.
R.M.: “Geni Compresi” è stato l’apice del “vecchio corso”, affronta i generi più disparati, a volte strizza l’occhio a melodie quasi pop ma comunque su tappeti strumentali elaborati, abbiamo coinvolto parecchi amici e tutti hanno dato un contributo “speciale”. È un album che a volte riascolto volentieri e tutto sommato (come capita sovente…) non mi viene da pensare “Potevamo fare molto meglio….”.
La sfortuna di “Geni Compresi” è stata quella di nascere “orfano”, perché non siamo arrivati nemmeno a ricevere le stampe che il nostro organico ha subito uno scossone.
Ogni vostro lavoro è folle e imprevedibile e “Geni compresi” non si tira certo indietro. Ma, secondo il vostro punto di vista, quali sono i punti di contatto e le differenze sostanziali tra questo album e tutta la vostra musica precedente? E come sono cambiati e cresciuti, in tutti questi anni, i Supercanifradiciadespiaredosi?
B.S.: “Folle” lo dicono gli altri che sono abituati alla normalità, che è sinonimo di comodità. Per me siamo tutti pazzi e la normalità è la media delle pazzie. Ogni formazione dei SCFAED ha un baricentro diverso e in ogni formazione abbiamo sfruttato le caratteristiche di ognuno. Forse il leitmotiv è il suono del mio basso (e la voce) che non è mai cambiato e non ha filtri. Quello che credo è che la nostra capacità di scrivere pezzi migliori sia stata allenata e usata per i nostri fini. Ciononostante penso che noi non siamo cresciuti, anzi siamo rimasti bambini, che è meglio (detta come la direbbe il Puffo Quattrocchi). Se muore quel fanciullino, siamo fregati.
R.M.: Come ho già detto precedentemente, “Geni Compresi” è stata l’evoluzione dell’organico di quel momento. Pure io, se prima dovevo eseguire delle parti forgiate dai miei predecessori, in “Geni Compresi” ho avuto l’opportunità di mettere al servizio la MIA creatività e il MIO approccio con la musica creando tutte le ritmiche e partecipando agli arrangiamenti dei brani.
E dopo l’uscita di “Geni compresi” ecco giungere in formazione anche Nestor Fasteedio. Nestor, anche per te le domande poste a Randy: come entri in “orbita” Supercani e cosa c’è nel tuo percorso artistico prima della band di Brodolfo e Randy?
N.F.: Io e Boris ci conosciamo dai tempi dei Tedio, una formazione che negli anni Novanta sperimentava la rara combinazione di due bassi e una batteria, rivelatasi formidabile e quindi – perché no? – replicabile. Anche dopo lo scioglimento dei Tedio nel 2001 ho mantenuto l’amicizia con Boris e, proprio per questo, già prima di entrare come membro effettivo, giravo nell’orbita del gruppo. Per puro caso mi sono trovato a partecipare alle registrazioni di “Mondo Cane”, poi venni chiamato nel coro di “Forza di gravidanza” e in altre occasioni, mentre suonavo con altre formazioni, ho condiviso il palco e/o la sala prove con i Supercani. Anche nel disco “Geni Compresi” ho contribuito con degli arrangiamenti.
Poi ricevetti una telefonata, se non erro era il giugno nel 2017, in quel periodo mi trovavo spesso a far loro da fonico nei concerti, e Boris mi chiese se ero disponibile ad entrare a far parte del gruppo. Pensavo si trattasse di una sostituzione temporanea, ma intanto sono ancora qui…
Nel 2023 vi fate (ma non solo a voi) un gran bel regalo per festeggiare i vent’anni di attività: “Aggiovaggio”, una suite di 12 minuti pubblicata esclusivamente su vinile. Mi raccontate un po’ questo viaggio spaziale in rock?
B.S.: Io con questo vinile chiudo la mia triade di desideri in musica. Il primo l’ho raggiunto nel 1997 diventando il cantante live di una delle mie band preferite di tutti i tempi (Rifiuti Solidi Urbani), il secondo quando abbiamo suonato di supporto nella nostra città alla mia band preferita di sempre (i NoMeansNo). Ora ho fatto anche un vinile e sono pure diventato fumettista (Eheh!). La storia di “Aggiovaggio” è il primo fumetto completo che io abbia mai realizzato. Entrando nello specifico diciamo che, grazie ad un colpo di fortuna, siamo riusciti a racimolare i soldini per andare in studio. In due giorni abbiamo portato a casa le riprese che poi sono state manipolate dal nostro Re Udino in persona (Mauro Andreolli). Non ti dico poi l’odissea burocratica per avere in mano tutto.
Di “Aggiovaggio” è stato realizzato anche un video di 13 minuti!!! Il nostro amico MarPlo (Marcello Plotegher), ancora lui, ne è l’autore!
R.M.: “Aggiovaggio” è la classica favola del “Principe Ranocchio”, un progetto a suo modo folle, anticommerciale che, da un’idea abbozzata in sala senza grandi presupposti, con il tempo è diventata un concept e, da lì, un vinile accattivante e un video di 13 minuti a mio parere fantastico. Devo dire la verità, mi sento fiero di appartenere alla band che è riuscita sfornare questo prodotto. Devo ringraziare Boris che, con la sua consueta cocciutaggine, ha portato avanti questa idea con uno sbattimento non da poco e con un libretto a fumetti accluso all’album nel quale ha superato sé stesso, Nicola per le sue idee, i suoi arrangiamenti e il suo modo “non del tutto e, a volte, molto poco convenzionale” di suonare il basso, Mauro Andreolli per l’eccelso lavoro di produzione del suono, Marplo (Marcello Plotegher) che ha saputo tradurre in un video tutto e quanto di meglio potessimo immaginare e, non ultimo Sergio Rizzoli per aver creduto in noi fin dal primo momento che ci ha visti e che ha sentito in sala prove “Aggiovaggio” per la prima volta. “Aggiovaggio” per noi è già stato un viaggio pazzesco e a volte tortuoso ma a Giove ci siamo arrivati davvero.
N.F.: La genesi di “Aggiovaggio” è stata a sua volta un viaggio fantasmagorico, nato per caso da un riff di basso registrato in sala prove, da successive stratificazioni, revisioni, aggiunte e sottrazioni di parti che hanno conseguentemente portato alla sua versione finale nel giro di un paio d’anni (con in mezzo una pandemia e un lockdown che ci hanno tenuti lontani da prove e concerti). Il risultato è davvero sorprendente per la sua linearità, scorrendo la storia delle numerose registrazioni in sala fatte negli anni, direi che la registrazione in studio, poi impressa su vinile, è senza dubbio la sua versione definitiva.
Fondamentale ai fini della sua comprensione anche la parte grafica, un meraviglioso fumetto che mette “nero su bianco” gli elementi musica/testo. Brodolfo, come nasce il tutto? Mi parli anche un po’ dell’elemento visivo che accompagna anche le vostre altre fatiche discografiche?
B.S.: Beh, ti ringrazio! Inizialmente il vinile doveva essere un EP. Poi venne l’idea di concentrarci solo su “Aggiovaggio”. Questo progetto non è stato pensato a priori esattamente come è venuto, ma le varie sezioni (composizione del pezzo, fumetto, racconto) sono cresciute assieme e si sono influenzate a vicenda nel tempo. Volevamo però fare un pezzo Progressive, alla nostra maniera. La composizione della musica ci ha portato via circa sette mesi e nel frattempo il racconto cambiava, si evolveva e così il fumetto. L’idea è che solo leggendo il fumetto, il racconto e il testo si può capire la storia, che è fondamentalmente la descrizione di un viaggio spaziale su Giove. Sicuramente Kubrick (“Odissea nello Spazio”, per noi “Ossidea”) è stata una fonte di ispirazione, ma anche Bozzetto con la sua “evoluzione-bolero di Ravel” e “Cuore di Tenebra” di Conrad. Il Bautilus (la nostra navicella) parte e arriva nello stesso punto ma con il bagaglio di esperienza fatta, che è un po’ ciò che succede a noi esseri umani nel nostro percorso di vita. La scelta del bianco e nero è stata fondamentale per la caratterizzazione di questo fumetto. Per me la parte più difficile è stata quella di rendere le otto tavole del fumetto coerenti tra loro.
Riguardo all’ultima domanda, beh, nella band ci sono io, mi piace disegnare ed è logico usare il mio tratto per “raccontare” la band, con i manifesti dei concerti in particolare. C’è il mio zampino anche in tutte le copertine. In questo caso, però, ho “esagerato”… Vedremo in futuro.
Come nasce e si sviluppa la collaborazione con la Lizard Records iniziata con “Geni compresi”?
B.S.: Stranamente, nonostante la nostra musica non sia proprio “Prog”, siamo subito entrati in sintonia con Loris Furlan, anche lui “impelagato nella musica” da parecchi anni e boss dell’etichetta. L’ho contattato e ci ha aiutato nella stampa e distribuzione di “Geni Compresi”. Ci siamo incontrati anche qualche volta e abbiamo suonato dalle sue parti (Altroquando, Suoni di Marca). Anche lui è venuto a trovarci a Trento. Grazie alla Lizard ho conosciuto un sacco di band fighissime e riempito il mio “bagagliaio culturale” di molti contatti. Con alcuni siamo rimasti amici.
R.M.: Beh, credo che Loris Furlan abbia saputo “leggere tra le note” e abbia trovato qualcosa di interessante in noi e in quello che facciamo e lo ringraziamo, perché credere nelle cose “controcorrente” non è facile.
N.F.: Io sono arrivato nel gruppo quando era già nel catalogo della Lizard. Non amo particolarmente essere incasellato in uno stile musicale, ma mi fa piacere che ci siano persone che credono nella nostra proposta a prescindere dal genere di musica che produciamo.
E tornando su “Geni compresi” (ma buttando anche un ampio sguardo all’indietro… e in avanti), nella recensione scritta per l’occasione, quando parlo dei testi affermo: parole surreali con ampi passaggi nel nonsense, una lunghissima supercazzola ottimamente congegnata e resa in modo eccentrico dai due vocalist. Mi parlate, dunque, del processo creativo che si cela dietro ogni vostro testo?
B.S.: Non c’è una regola altrimenti non c’è gusto. Diciamo che un pezzo, sia musicalmente che con le parole, comincia a funzionare quando si capisce di cosa parla. Quando cogli la sua “essenza” sarà lui stesso a insegnarti come suonarlo/cantarlo. In realtà, personalmente sono un grande fan dei giochi di parole, rebus, anagrammi, cruciverba, eccetera. Amo artisti tipo Bergonzoni o visionari come Terry Gilliam e Monthy Pyton, i primi che mi vengono in mente, per cui, se mi vien voglia di cantare “barabbalillulà”, lo faccio. Poi anche nel nonsense c’è un senso, basta saperlo cogliere e soprattutto averne voglia. Talvolta comunque non è così importante. La musica è intrattenimento e la spontaneità paga molto di più del “cervelloticismo”. È che talvolta è bello addentrarsi in gineprai e uscirne vivi e feriti. Quindi, per rispondere alla tua domanda, ogni nostro testo ha un processo creativo unico.
R.M.: Il mio apporto in questa componente è quasi nullo. Sì, a volte posso provare a dare dei consigli su qualche piccolo ritocco, ma tutto si ferma lì, ho fiducia nella “pazza genialità” di Boris.
La vostra proposta è difficilmente etichettabile, una sorta di Prog-punk aperto a tutto… Voi vi definite Pro(Ag)gressive (e suona di gran lunga meglio!). Vi va di presentare, dunque, il genere proposto dai Supercani? E come nasce solitamente un vostro brano che definirei banalmente anticonvenzionale?
B.S.: Molto bello non essere etichettabili, così non si finisce nella credenza con le marmellate. La dicitura “Pro(Ag)gressive” era stata coniata per i Tedio (band che avevamo con Nicola, sempre con due bassi). Ci può stare anche per i SCFAED, ma cambierà sicuramente per il prossimo disco. Il genere serve per inserire il tuo CD o disco, che dir si voglia, nella propria collezione. Infilalo tra la “R” e la “T” o nella sezione “pazzi”.
R.M.: Credo che tutto parta dal fatto che siamo tre personalità per certi versi “musicalmente esagerate”. Essendo in tre, la nostra “tavolozza sonora” ci lascia molto spazio, a volte lo coloriamo tutto e a volte volutamente lasciamo delle “camere d’aria”, saliamo sul palco e non avremmo nemmeno il bisogno di incrociare gli sguardi perché la macchina Supercani viaggia da sola. Tutto ciò che esce nasce spesso da un riff ripetuto ad libitum tritato, frullato, mantecato, insaporito e alla fine cotto e servito.
N.F.: Non ho mai pensato a come etichettare ciò che suono, dal punto di vista musicale mi ritengo onnivoro. Concordo con Boris, il prossimo disco potrebbe avere influenze da generi che non abbiamo ancora esplorato, come il dub, la trap, il reggaeton, la polka, i cori russi, il free jazz punk inglese e anche la nera africana.
E come si fa ad essere così potenti ed espressivi con due soli bassi e una batteria (più voce e ammennicoli vari)?
B.S.: Forse perché siamo abbastanza precisi, abbiamo un buon suono forgiato in anni di esperienze, sappiamo valorizzare i vuoti e, soprattutto, facciamo prove costantemente. Cerchiamo sempre di stare attenti alle dinamiche, sono loro a definire l’espressività. E usare la voce è divertentissimo.
R.M.: Credo che la prima componente necessaria per essere “una macchina da guerra” sia il senso di appartenenza e “il sentirsi al posto giusto” in una band, dare e godere della massima fiducia in fatto di esecuzione delle parti e arrangiamento dei brani e il credere fermamente in ciò che si fa, oltre naturalmente al rispetto e all’amicizia. Quando esistono queste basi il resto viene da sé.
N.F.: Il valore aggiunto per me è conoscere bene le potenzialità espressive (infinite) del proprio strumento, ma credo che solamente suonando molto in gruppo si impara a dosare e mescolare le energie. La sola capacità tecnica del singolo non è sufficiente, l’amalgama sonoro si forgia prova dopo prova, a volte anche scontrandosi con visioni diverse, non certo suonando a casa da soli con le cuffie.
Dal 2002 avete più di duecento concerti all’attivo (un sogno per il 99% degli artisti italiani…). Ma come sono i Supercanifradiciadespiaredosi sul palco e cosa c’è da attendersi da un vostro concerto?
B.S.: Sul palco siamo spontanei, ci piace scherzare e non prenderci sul serio. Contemporaneamente siamo però molto concreti e ci piace andare al sodo. Prendiamo seriamente tutto ciò. Direi che non esiste un concerto dei Supercanifradiciadespiaredosi uguale ad un altro. La riuscita o meno di un concerto può dipendere da molti fattori, anche e soprattutto dall’ energia di rimando del pubblico. Se c’è, amplifica la tua!
R.M.: Sul palco, siamo estremamente sanguigni ed energici, rimanendo però attenti e concentrati alle dinamiche e all’esecuzione dei brani. Generalmente siamo sempre molto preparati e questo ci permette di affrontare i concerti con la massima tranquillità.
N.F.: Recentemente mi ha colpito quanto detto subito dopo un concerto da una persona che ci ha visti per la prima volta dal vivo: “Vi conoscevo da dei frammenti di live visti su YouTube, ma non rendono neanche un decimo dell’esperienza di assistere sottopalco ad un vostro concerto”. Ecco, secondo me i concerti – non solo i nostri – sono esperienze da godere, possibilmente col telefono spento nella tasca.
Va detto, per onor di cronaca, che inizialmente, per esempio, Brodolfo Sgangan è semplicemente Boris. Quando nasce l’esigenza di cambiare nome? E come vengono scelti questi piuttosto surreali (domanda valida anche per Randy e Nestor)?
B.S.: Il cambio di nome è accaduto nel 2006, durante le registrazioni del brano “Forza di Gravidanza”. Avevamo bisogno di un coro e abbiamo mandato una mail ai nostri contatti con il giorno, l’ora e l’indirizzo dello studio. Si sono presentate trentacinque persone, parenti più che altro. Abbiamo costretto tutti ad inventarsi un nome con le iniziali giuste, però. E lo abbiamo cambiato anche noi. Da allora tutti quelli che hanno avuto affari con noi hanno il loro nome “canino”.
R.M.: La scelta del mio nome è nata dal fatto che un batterista è di norma un essere Molesto e rumoroso, ad esempio a cena, mentre ti parla, tamburella sulla tavola e a volte è più attento sull’evoluzione della sua performance che non a quello che sente.
N.F.: La scelta del mio nome d’arte è frutto di un’accurata riflessione semantica… Ehm, no, in verità credo di averlo scelto in maniera del tutto aleatoria.
Poteidofono: a voi l’onore e l’onere di dirmi cos’è!
B.S.: Beh, è il “combo” formato da tastierina midi e computer che ha utilizzato il precedente bassista Findut Poteidone (Francesco Penasa) dal 2010 al 2015 circa.
R.M.: Il Poteidofono è presente solo nel passato dei Supercani, a suo tempo ha svolto un ottimo lavoro ma nella formazione attuale non si addice.
N.F.: Dicesi Poteidofono… è un piatto regionale abruzzese, ma forse mi sbaglio.
Spulciando la vostra biografia, questo dettaglio datato 2007 mi ha colpito (tra i numerosi altri): Riusciamo incredibilmente a vincere alcuni concorsi, tra cui Rock Targato Italia per poi scoprire che non è così importante… Cosa è andato “storto”?
B.S.: Non sono importanti perché non portano a nulla, se non a fare curriculum. Lo scopri dopo. Meglio organizzarsi i concerti da soli. Chi organizza concorsi non pensa alla musica o alle band, ma probabilmente a quelle due lirette (“euretti”) che gli arrivano in tasca. Noi, in passato, abbiamo partecipato ai concorsi più “famosi” in Italia, ma francamente è meglio non dilungarsi. Ne dico un paio per tutti: Il fonico da palco di Arezzo Wave che, indicando il mio ampli (che nemmeno volevano farmi usare!), mi chiede se è un ampli da chitarra. E gli avevo anche mandato la scheda tecnica. O a Rock Targato Italia, dove il nostro fonico risolve i problemi a tutti e, alla fine, non ci regalano nemmeno il CD del pezzo che siamo stati costretti a regalargli. Mi fermo qui perché ne avrei altre. Una vergogna la poca passione che si respira in certe situazioni.
Qual è il vostro legame con il mondo dei cani, un elemento che ricorre molto spesso nel vostro mondo?
B.S.: All’epoca avevo due pastori tedeschi. Curiosità: il nome della nostra etichetta fittizia è Aramis Records, nome dell’amatissimo ex cane di Renzo.
R.M.: Beh, qui potrei scrivere molto, ma mi limito solo a dire che attualmente vivono con me (non utilizzo il verbo avere, si possiede una motocicletta, una macchina, uno strumento musicale, ma non un essere vivente) due Border Collie, Ruby e Django, che adoro.
Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il vostro punto di vista per chi fa musica?
B.S.: Beh, è sicuramente un modo diretto di promuoversi e di “mostrarsi” agli altri. A me personalmente piace, poiché adoro foto, grafica e comunicazione. Mi piace diffondere la nostra musica e mi piace pensare che, con un semplice click, anche un australiano può venire in contatto con noi. Certo che così, la musica e i musicisti hanno perso un po’ quella patina di mistero che covava poi nella testa dei fan. Le rockstar pre-internet erano “vere rockstar” proprio perché non venivano messe a nudo come si fa ora e mantenevano chi più chi meno, un alone di mistero. Ora, nel vedere il mio cantante preferito che si fa un selfie col gatto, mi cala la libido, eh? Eheh!
R.M.: Internet e “l’involuzione” della gran parte dei suoi fruitori hanno portato ottime cose e ne hanno debilitate altre. Se mi limito a dare un’opinione solamente in campo musicale posso dire che oggi è tutto “usa e getta”, si sfoglia senza interesse, non si approfondisce nulla e tutto quanto è digitale (fotografie, film, musica e libri), non ha valore, e da qui la nostra scelta di produrre un vinile, un oggetto fisico tangibile, palpabile e presente nelle case dove arriva. C’è chi dice che Internet permette a tutti di essere presente e di offrire la propria proposta, vero in parte, perché alla fine chi comanda e chi riesce a essere “sul mouse” di tante persone è chi è supportato dai network più potenti, e i gusti di gran parte delle persone sono pilotabili, altrimenti non si spiegherebbero tante cose.
N.F.: Ho una formazione da informatico e sono stato uno dei più entusiasti fruitori agli esordi dei social, ho visto tutta l’evoluzione di Facebook, di Twitter e di Instagram ma da almeno 5-6 anni li rifuggo e preferisco non interagire su questi spazi virtuali, che spesso rivelano il lato più greve dell’animo umano. Preferisco mantenere la mia innocenza usandoli il meno possibile. Appartengo alla generazione che ascoltava tanta radio, si comprava i dischi e registrava i video di MTV e i concerti in TV sulle VHS. Mi ricordo che negli anni Novanta, la videocassetta del live “A show of hands” dei Rush mi è costata come una settimana di raccolta mele. Adesso, in un paio di click, si ha potenzialmente l’accesso a tutto lo scibile, ma a questo non mi pare corrisponda un proporzionale aumento della qualità della musica.
E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online? E, nel vostro caso specifico, quali ostacoli avete incontrato lungo il cammino?
B.S.: Per quanto mi riguarda la difficoltà maggiore è quella di convincere i grafici a scrivere giusto (e per intero) il nostro nome e anche quella di procurarci concerti, visto che solitamente non scendiamo a compromessi con il nostro suono. E volume. Per ciò che concerne la raccolta fondi, noi non l’abbiamo mai fatta (tranne che per un’ottima causa durante la pandemia), non ci convince molto. Ostacoli ne abbiamo trovati tanti ma chi la dura la vince.
R.M.: Inizio con il rispondere che nei magici “anni ‘70 e ‘80” le band di successo guadagnavano con le vendite dei dischi e facevano il tour per promuoverlo, mentre oggi fanno l’album nuovo per promuovere il tour che, assieme al merchandising, è la fonte primaria di guadagno. Si legge di artisti “famosi ma non troppo” che rinunciano al tour o cancellano delle date perché non ci stanno con i costi. Fare musica molto difficilmente risulta un’attività redditizia, lo si fa per passione e per portare avanti “la propria idea”.
N.F.: È cambiato totalmente l’approccio alla musica, rimangono gli appassionati, i nostalgici, la nicchia dei fanatici, ma la maggior parte degli ascoltatori di musica non sa ascoltare un album intero e non lo ascolta con un impianto stereo. Noi andiamo in direzione ostinata e contraria con un singolo lungo 12 minuti, vedremo come andrà sulle piattaforme di streaming, che sono formidabili ma si basano su algoritmi che banalizzano tutto e determinano un gusto sempre più standardizzato. Io preferirei ci fosse meno musica prodotta, suonata e riprodotta adeguatamente da dispositivi di qualità, ma so di far parte di una minoranza di snob che storcono il naso sentendo l’appiattimento di frequenze dell’emmepitrè.
Qual è la vostra opinione sulla scena Progressiva Italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà? E ci sono abbastanza spazi per proporre la propria musica dal vivo?
B.S.: A parte i CD che mi passa Loris, non conosco ”la scena Progressiva Italiana attuale”. Anche perché il genere Progressive non è certo al centro dei miei pensieri musicali. Oltretutto non amo chi si inscatola in un genere. Ascolto robe più estreme solitamente. Grazie alla Lizard ho comunque conosciuto molte valide band. Ricordo con piacere quelli che più mi hanno colpito del loro rooster: feat.Esserelà, Tom Moto, Outopsya, Mezz Gacano e Parafulmini. Io personalmente sono comunque centrato sulla mia musica e sul promuoverla con CD, dischi e concerti e ben vengano le collaborazioni con gli altri. La linea comune dovrebbe essere la passione e la voglia di fare.
Riguardo alla seconda parte della domanda, se gli spazi sono pochi o non ci sono, bisogna crearseli e non mettersi a piangere sulle cipolle.
R.M.: Onestamente conosco bene la scena Progressive del passato e meno quella attuale, abbiamo avuto modo di dividere il palco con alcune band e le ho trovate valide e preparate. Purtroppo sono un po’ meno preparate le orecchie di una bella fetta di popolazione a sonorità “più impegnative” e generalmente questi sono i più giovani. È triste confrontarsi con un ragazzo di 18/20 anni e scoprire che non sa nemmeno chi sono la PFM, il Banco del Mutuo Soccorso, gli Area o Le Orme. Chissà, forse negli ultimi vent’anni, è stata trascurata parecchio “l’educazione musicale”, sentire un brano e rendersi conto di cosa c’è o NON c’è dietro. Insomma… “sapere ascoltare”.
N.F.: Di concerti non ce n’è mai abbastanza. C’è troppa burocrazia e molti hanno perso l’entusiasmo di organizzare eventi di musica dal vivo, soprattutto quando è originale. È sicuramente più facile fare una serata con un dj o una cover band di successi. Ma così facendo si crea un pubblico poco incline alla novità e gruppi fotocopia che non osano inoltrarsi in territori sonori inesplorati.
Esulando per un attimo dal mondo Supercanifradiciadespiaredosi e “addentrandoci” nelle vostre vite, ci sono altre attività artistiche che svolgete nel quotidiano?
B.S.: Per me è il disegno, che comunque, come detto, sfrutto anche per la band (copertine, fumetti, manifesti, loghi, ecc.).
R.M.: Onestamente no, mi sono sempre dedicato anima e corpo allo studio e alla pratica della batteria, componente che ha contraddistinto da sempre la mia vita.
N.F.: Sì, in passato ho fatto teatro e video-arte, non si direbbe ora, ma ho partecipato pure a delle performance di danza. Da qualche anno lavoro come educatore scolastico ed è naturale che mi occupi anche di espressione artistica, sia attraverso il video che la fotografia, ma soprattutto col teatro e la poesia. Poi ho un mio progetto di musica elettronica con sintetizzatori virtuali e campionamenti ambientali, ma lo renderò pubblico solo quando smetterò di far vibrare le corde del basso, quindi credo fra molti anni.
E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), vi va di confessare il vostro “podio” di preferenze personali?
B.S.: Ecco i gruppi che hanno contato più degli altri nella mia vita: NoMeansNo, Voivod, Victims Family, Neurosis, Cop Shoot Cop, Black Sabbath, Rifiuti Solidi Urbani ’92, Led Zeppelin, Iron Maiden, Slayer, Primus, Area, King Crimson, S.O.D., Splatterpink, Battiato, CCCP, Litfiba pre-’88, Einstuerzende Neubauten, The Young Gods, Vinicio Capossela, Mastodon, Killing Joke, Joy Division, Ruins, Elio e le Storie Tese, Suicidal Tendencies, Banda Osiris, Manowar, Zu.
R.M.: La mia formazione musicale nasce e pesca maggiormente nel passato. Già in tenerissima età, grazie a un fratello maggiore appassionato e collezionista di vinile, ho avuto modo di seguire e ascoltare le discografie di gruppi come Emerson Lake & Palmer, Jimi Hendrix, Led Zeppelin, Genesis, Pink Floyd, The Who, Deep Purple, Santana, Yes, poi crescendo ho avuto modo di approfondire anche altri generi come la fusion, il funk, e nuove influenze musicali con band come Faith No More, Porcupine Tree, Living Colour e altri.
N.F.: In fatto di ascolti spazio veramente a tutta la musica di tutte le latitudini, senza distinzione. Il mio podio vede al primo posto senza ombra di dubbio i The Beatles per l’influenza che hanno avuto su tutto ciò che mi piace ascoltare e per una mia smodata passione per gli album “Revolver”, “Sgt. Pepper” e “Abbey Road”. Sono cresciuto con la new wave, quindi non posso non citare i The Cure e i The Smiths. Discorso a parte l’istrionico e inetichettabile Frank Zappa. Poi tutti i giganti del rock, in particolare le band formidabili dal vivo come i Led Zeppelin, i King Crimson e i Rush. Della cosiddetta musica classica, Stravinsky e Bartok sono i miei compositori preferiti. Altra mia passione è il jazz, Miles Davis e Charles Mingus su tutti, poi il rap old school, in particolare gli A Tribe Call Quest, i Run DMC e i Public Enemy. Adoro i Tool e apprezzo molto gruppi metal come i Meshuggah. Della scena italiana mi piacciono Battiato, gli Area e De André, apprezzo i Verdena e non disprezzo i Maneskin.
Restando ancora un po’ con i fari puntati su di voi, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che amate e di cui consigliereste di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?
B.S.: Rimango sulla (pseudo)fantascienza e dico Theodore Sturgeon. Uno scrittore fantastico e unico.
R.M.: Devo dire la verità, non sono un divoratore di libri, preferisco approfondire temi di attualità o storici sul web attingendo spesso a Wikipedia o testate comunque affidabili. Posso dire che mi affascinano molto i dipinti di Hieronymus Bosch.
N.F.: Direi Banksy!
Tornando al giorno d’oggi, personalmente e artisticamente, come avete affrontato e reagito al “periodo buio” della pandemia che abbiamo vissuto recentemente (e che, in parte, stiamo ancora vivendo)? Pensate che l’arte e la musica, in Italia e a livello globale, siano state solo “ferite di striscio” o ritenete abbiano subito un “colpo mortale”?
B.S.: Vergognoso come l’arte (e chi lavora attorno ad essa) sia stata trattata dalla politica in quest’ultimo periodo. È una cosa che non scorderò mai. Noi, causa pandemia, abbiamo perso la sala prove, ma ricollegandomi a quello che ho detto prima, ci siamo rimboccati le maniche e ce ne siamo costruiti una nuova! La voglia smuove le montagne e ci sentiamo più forti di prima. E respiriamo meglio.
R.M.: Se devo valutare in maniera “egoistica” (con tutto il massimo rispetto e comprensione per chi ha subito delle dolorose perdite) posso dire di averlo vissuto bene, mi ha portato dei vantaggi, lavoro nell’informatica e questo terribile evento ha portato all’introduzione del telelavoro (un discorso che prima era un tabù assoluto), che conservo tuttora e che mi permette di vivere un po’ più serenamente, evitando tempo perso in macchina e lunghe e noiose code in tangenziale. È stato un periodo indescrivibile, un momento di riposo anche per l’ambiente, l’aria in città era tornata più respirabile e la stessa gente, forse (chi non aveva problemi), era tornata ad apprezzare lo stare in casa in famiglia e una pizza fatta in casa.
N.F.: Lo scopriremo nei prossimi anni. È stato sicuramente un evento traumatico, ma non è stato un cambio di paradigma. Mi preoccupano di più l’impatto che può avere l’intelligenza artificiale, il cambiamento climatico e il declino del pensiero politico che degrada nel populismo, nella xenofobia e nel liberismo sfrenato.
Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che vi va di condividere sui vostri anni di attività?
B.S.: In ventuno anni di attività “supercanina” (ma io suono da trent’anni circa) ne sono successe di cotte e di crude. Un aneddoto che ricordo è l’aver suonato al “Concerto delle torte” (come lo abbiamo definito poi). Festa privata, ci arriva una fetta di torta, diciamo “farcita”. La cosa divertente (a parte il concerto psichedelico che ne è scaturito) è stata la reazione di Randy che era convinto di colpire dischi volanti al posto dei piatti! Poi ne ricordo un altro, in un bar a Trento che ci chiama a suonare, montiamo tutto e poi proviamo un pezzo senza batteria. Ci dicono di abbassare e noi rispondiamo che “Manca ancora la batteria”. Inutile andare avanti. Ri-smontiamo e torniamo a casa. In pieno centro, con menate di parcheggi eccetera. Poi ci sarebbe quello di “Millanta Rimborsi”, ma te lo racconto a voce se me lo chiedi!
R.M.: Un aneddoto divertente che mi piace ricordare è il seguente: suonavo con un gruppo a un motoraduno, prima di noi c’era stato il consueto (per quelle situazioni) spettacolino della spogliarellista di turno, partiamo con il nostro live e, mentre suoniamo, sale sul palco l’accompagnatore della suddetta “artista” a cercare gli indumenti sfilati probabilmente dimenticati, senza nessun riguardo e muovendosi come un elefante tra i nostri strumenti. A un certo punto l’ho visto chinato a quindici centimetri dal mio potentissimo piatto China da 20 pollici. Beh, non ho resistito! Ho sferrato una mazzata degna di John Bonham proprio su quel piatto. Devo dire di averlo visto mettersi le mani sulle orecchie e allontanarsi dalla batteria.
N.F.: Mi è capitato di ricevere dei complimenti per come ho suonato la chitarra. Ma io non avevo suonato la chitarra. Mi è anche capitato di suonare un intero concerto col tallone appoggiato sulla cassa della batteria per non farla avanzare sul palco. O quella volta che mi si è spento l’amplificatore e ho suonato alla cieca, il pubblico sentiva dall’impianto e io no, ma della differenza non se n’è accorto nessuno.
E per chiudere: c’è qualche novità sul prossimo futuro dei Supercanifradiciadespiaredosi che vi è possibile anticipare?
B.S.: Certo, stiamo preparando un nuovo album di inediti che saranno totalmente diversi da “Aggiovaggio”, che rimarrà un’esperienza unica per noi. I nuovi brani saranno più corti e diretti, credo.
R.M.: Abbiamo in cantiere già alquanti brani e finita un’avventura ne inizia un’altra. Quindi presumo che la strada da seguire sarà un nuovo album con tanta voglia di cambiare ancora la pelle ma mantenendo la nostra identità.
N.F.: Per quanto non sappia che forma avrà perché adesso i dischi non hanno forma, la sostanza, credo sarà qualcosa di più tondo.
Grazie mille ragazzi!
B.S.: Grazie a te per i “ragazzi”! Questa è l’intervista più completa mai fatta!
R.M.: Grazie infinite a te, è stato un piacere.
N.F.: È stato un piacere. Alla prossima.
(Luglio, 2023 – Intervista tratta dal volume “Dialoghi Prog – Volume 4. Il Rock Progressivo Italiano del nuovo millennio raccontato dai protagonisti“)
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