Qirsh | Aspera Tempora – Parte 1

QIRSH

Aspera Tempora – Parte 1 (2020)

Lizard Records

 

“Don’t fear hard times, the best comes from them”.

Questo il pensiero dei Qirsh (riportato sul retro dell’album). Tempi duri, come recita anche il titolo, quelli che stiamo affrontando in questo periodo storico ma da cui, convenendo con la band, di certo ne usciremo (in qualche modo). Intanto, già durante questi “tempi duri” qualcosa di buono e da ricordare è venuta fuori: Aspera Tempora – Parte 1, il nuovo album dei Qirsh.

E proprio per esorcizzare la “paura dell’uomo” (di qualsiasi genere) che il settetto formato da Andrea Torello (basso, voce), Daniele Olia (chitarre, tastiere, liuto, voce), Leonardo Digilio (tastiere, piano, synth), Marco Fazio (batteria), Michele Torello (chitarre), Pasquale Aricò (voce, tastiere) e Giulio Mondo (batteria, percussioni) pone il tema al centro del suo concept album. Che siano le paure adolescenziali delle false voci, la paura del vuoto, la paura della solitudine, del dolore, del giudizio divino, tutto può essere affrontato e superato. Basta volerlo.

E queste paure la band le affronta con rabbia, una rabbia che rivive in un connubio di liriche, suoni ed atmosfere ottimamente congegnato. Psichedelia, alienazione, ottimo prog, atmosfere cupe, stratificazioni vocali evocative, ritmiche solide e quella sorta di “alternatività” alla CSI che permea una consistente parte del lavoro, cui facevo riferimento nella recensione di “Sola andata“, che qui esplode definitivamente: i sette mettono numerosi ingredienti sul piatto e lo fanno con intelligenza e “proprietà di linguaggio”.

Ma c’è anche un’essenza più profonda in Aspera Tempora – Parte 1, direi mistica, che si respira nelle vetrate gotiche dell’artwork, nelle melodie e nei testi, questi ultimi fondamentali nell’economia dei brani, ben scritti, profondi, veementi (e ogni brano è introdotto da un breve testo (in inglese) che va obbligatoriamente letto per effettuare il primo passo all’interno dell’episodio che sta per schiudersi).

Apertura densa, un po’ new wave e un po’ sinfonica per la mastodontica Rumors con i suoi quasi 18 minuti di durata, un crescendo avviluppante ed estraniante (grazie agli inserti vocali) che si fa strada senza freno alcuno. E poi entra in scena la voce di Aricò, avvolta da distorsioni granitiche, ritmiche serrate e un’anima alla CSI. Ancora si andava a scuola, / ricordo che io già temevo / le voci. / Nascondersi nei bagni e a casa, / le lacrime quando spegnevo la luce. / Il sospetto ad ogni sguardo, / il mondo intorno sta ridendo, / parlando, attaccando, / e al mattino già scendeva / la notte […]. E, più avanti, esplode la rabbia, un’energia enorme convogliata nella stratificazione vocale e nei suoni, prima di “scagliare” tutta la magia progressiva che è nella faretra del gruppo, con le tastiere sugli scudi, trascinanti come le pelli e il basso.  […] La vergogna e la paura han piantato un seme di odio, / ora resta soltanto un po’ di inutile odio […]. Grandissimo momento. E al termine del brano mancano ancora dieci minuti… Ed è così che, passata l’euforia, ci si assesta tra suoni quasi evanescenti, momento utile per ricaricare le pile e ripartire a mille, come avverrà poco oltre, con un frangente alienante e denso, con picchi di follia krauta. L’assolo della chitarra giunge “salvifico” e apre alla distensione successiva e al carico di nostalgia del testo ([…] Da piccoli si giocava al telefono senza fili, / le parole sussurrate cominciavano a girare e cambiare […]). Ma la conclusione è sempre lontana, e allora il settetto riprende a volare, vorticosamente in picchiata, una corrente sonora indomabile che si stempera poco prima di chiudere il suo cammino, psichedelicamente. […] Ancora si andava a scuola, / ma vi ricordo uno ad uno, tremate. / Vi troverò anche dopo anni, e su di voi / scenderà la notte.

Aer Gravis. Dopo un intro rarefatto, con un elemento romantico centellinato offerto dal piano, se si prova a chiudere gli occhi e ad ascoltare il prosieguo, ci si ritrova catapultati nell’album “Tabula Rasa Elettrificata” dei CSI. “Fuoco liquido” che avanza senza ostacoli, con le sovrapposizioni vocali poste lì a disorientare e quell’indole psichedelica che non lascia tregua. E, tra aperture e inquietudine, si procede spediti verso la metà, chiudendo liricamente. […] Il coraggio di saltare / Non ho paura di volare.

Fresche, e un pizzico new wave, le battute d’apertura di Quel momento, con il piano solare di Digilio che va a sovrapporsi lentamente alle chitarre fino a soppiantarle, temporaneamente. Per niente sconfitte, le corde tornano prepotentemente in scena, estromettendo l’altro strumento. L’atmosfera, intanto, è mutata, s’è fatta più tesa, collerica, e i giochi vocali ipnotici ne confermano la sensazione. C’è rabbia nelle note e nel canto dei Qirsh e i sette fanno di tutto per mostrarla. E il tema del testo lascia davvero riflettere sui rapporti di coppia (almeno dal punto di vista del suo autore, Daniele Olia): Perché mi chiedi / di dedicarti una canzone / Io scrivo solo se c’è qualcosa / che fa parlare, / qualcosa da liberare / Mi fai paura quando hai fretta, / quando mi preghi / di comunicare […]. L’ultima volta che Olia ha scritto una canzone è stata al termine di una relazione… Chiedimi che quel momento / non venga mai.

Hurt. Incedere frenetico per il basso di Andrea Torello e la batteria, un passo a due rapido e “opprimente” che i suoni sinistri, gettati qui e là lungo il cammino dagli altri Qirsh, rendono ancora più pesante. E poi, dopo un’apertura sinfonica, si cade nel delirio. Una follia “programmata” che ci apre le porte dell’estasi, prima di chiudere tra note che rimandano ai primissimi Litfiba.

Suoni eighties e cinematografici (vedi film d’azione) per Anansi. Melodie possenti si miscelano ottimamente ai “capricci” ritmici, sino a lasciare campo al solo di chitarra. E quando entra in scena la voce, con tanto di “rinforzi d’accompagno”, l’atmosfera raggiunge lidi alla Pooh. […] Ovunque io mi giri / vedo me stesso in mille occhi, / mille mani mi avvolgono l’anima / ed io non sono più qui […].

La “pioggia battente” che cade dalle dita di Digilio è da applausi e getta un velo solenne sulla partenza di Oremus, colto al volo dalle voci, quasi un inno gregoriano, o un mantra, da recitare sottovoce, e che lentamente pervade ed eleva lo spirito dell’ascoltatore (Notte dello spirito, / malattia dell’anima, / la risposta che non c’è, / debolezza atavica / il senso di colpa […] / timore ancestrale, / timore reverenziale, / tormento e pentimento / ignoranza umana, / verso l’insondabile, / la paura del male […] / gli uomini si annullano / ai piedi di potenti dei […] / in nome del divino / gli atti più infami / un tremendo essere, / il castigo più temibile, / loro tutto osservano, / si salderanno i conti / alla fine della storia). E, improvvisamente, arriva una scudisciata violenta tra capo e collo. È un lampo, poi si riprende “spiritualmente”, una via di mezzo tra un brano “elevato” di Battiato e uno di Camisasca, che cresce gradualmente, senza strafare, sino al ritorno dell’organo, Antonius Rex mode on. E tutto si fa imponente, con le chitarre che dipingono linee irregolari fondendosi alle voci ottimamente. E si avanza, ancora, cambiando le carte in tavola, gettando un velo morbido arricchito da antitetici lamenti, dolorosi, prima di riprendere a correre, deliranti.

E quado pensi che l’album sia terminato (d’altronde, sul retro, sono riportati solo sei titoli di brani), ecco che il disco prosegue offrendoti una settima traccia, una sorta di ghost track: Oremus (reprise). Dolore, vigoria, solennità: questi gli ingredienti delle prime battute dell’episodio, una sorta di prosecuzione del brano precedente. E poi, quando il charleston sta per “lanciare” il tempo del brano, qualcosa va “storto”, tutto si ferma, dando spazio a nuovi cori ecclesiastici molto profondi. Torna anche il canto dei brani precedenti, a cappella. Tutto molto affascinante con le stratificazioni vocali e quella sensazione di smarrimento che pervade tutto il segmento.

Sette anni dall’ultimo album, tempo speso ottimamente per eseguire un gran balzo in avanti. Chapeau!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *