Le Grand Sbam – Furvent

LE GRAND SBAM

Furvent (2020)

Dur et Doux

 

Nel filone delle band che si amano o si odiano (senza via di mezzo) ci sono senza dubbio anche i francesi Le Grand Sbam (in realtà, piuttosto che band, andrebbe definito “collettivo”). Ma, come detto in apertura della recensione di “Le livre des merveilles” dei CHROMB!, ogni produzione Dur et Doux è un “salto nel vuoto”, quindi, se si è folli abbastanza da intraprendere questo viaggio, beh, basta salire a bordo!

Le Grand Sbam, dicevamo, a bastard music ensemble che si presenta in una formazione ad otto elementi formata da Antoine Arnera (piano, elettronica, voce, composizione), Boris Cassone (basso, mellotron, voce), Jessica Martin Maresco (voce), Guilhem Meier (batteria, percussioni, voce, composizione), Marie Nachury (voce), Grégoire Ternois (marimba, toms, dun dun bells, gong), Mihaï Trestian (cimbalom) e Anne Quillier (moog, rhodes, voce), e che, ispirandosi al romanzo di fantascienza “L’orda del vento” di Alain Damasio e al simbolismo dell’I Ching, ha tirato fuori dal cilindro il visionario Furvent.

E ciò che è contenuto nell’album è musica che va oltre i confini, un flusso contorto che fa del R.I.O./avant-prog la sua bandiera. Ma non è tutto così “semplice”: tra le “pieghe” di Furvent, come affermato dal collettivo, si celano anche il jazz, la musica contemporanea e quella antica, il rock e l’elettroacustica. Basta saperli scovare. In pratica, gettate in un frullatore Kōenji Hyakkei, Art Zoyd, Magma, Frank Zappa, Ruins, Fantômas e Mezz Gacano e, forse, si avrà un’idea della proposta de Le Gran Sbam.

Sperimentazione più estrema, dunque, ai limiti della follia (a tratti va anche oltre…), avanguardia pura, ecletticità spinta al massimo. Tutto è bizzarro, surreale, e i testi (se così possiamo chiamarli, fatti di parole inventate o vocaboli francesi distorti), così estremamente ermetici ed espressi in modo tutt’altro che “canonico”, sono la ciliegina sulla torta (e va di pari passo con il particolare artwork di Lilas Mala). E dal vivo, nascosti dietro le loro strambe maschere gommose, sono sensazionali.

Furvent si apre con La Trace, oltre 18 minuti in cui Le Gran Sbam mette maestosamente in scena tutta la propria follia R.I.O.. Bastano i primi minuti fatti di stratificazioni vocali deliranti e suoni esagitati a dare un’idea del suo contenuto, così come il lungo “silenzio sinistro” che segue. Abbandonati a noi stessi senza appigli, non si riesce ad immaginare da dove arriverà il prossimo colpo. Si resta come sospesi, in attesa, e qualcosa inizia a farsi largo, sempre più tenebroso, angosciante. E riecco le voci di Jessica Martin Maresco e Marie Nachury, sempre più alienanti, con i suoni che tornano lentamente, sino ad erompere brutalmente, tra ritmiche sbilenche e un piano in preda a schizofrenia. E siamo ancora a metà percorso… Si avanza, dunque, al buio, subendo “attacchi improvvisi” da ogni direzione e, giunti alla conclusione, si presenta dinnanzi a noi un bivio: proseguire curiosi o abbandonare atterriti. Si consiglia vivamente la prima opzione.

Protagonista indiscusso di Nephèsh è il piano tarantolato e un po’ nocenziano di Arnera: è lui ad accompagnare e assecondare tutte le fantasie vocali femminili e maschili.

Altra scheggia impazzita Yi Yin I Tchen (Le tonnerre). Le voci di Maresco e Nachury fanno propria la scena, tra ghirigori “malati” e tentativi classicheggianti, mentre le ritmiche vivono di vita propria e il piano sembra suonato e spinto al limite dal Fariselli di “Antropofagia”.

Leggermente meno eccessiva Yi Yin I Souen (Le vent) che vive soprattutto sulle camaleontiche corde vocali femminili, un po’ alla Donella Del Monaco, abilissime nel muoversi tra canto e sperimentazione.

Tesissimo l’avvio di Yi Yin I Li (Le feu), brano che poi si tramuta in cavalcata impetuosa. Suoni e voci si fondono tra loro restituendo una matassa multicolore inestricabile, sino a quando il tutto sembra quietarsi. Sembra, appunto. Anche se leggermente “frenato”, Le Grand Sbam prosegue, senza remora alcuna, a sperimentare.

Un po’ Fantômas, un po’ Kōenji Hyakkei, ma tanto Le Grand Sbam, prende forma Yi Yin I K’ouen (La terre), un nuovo tassello “privo di forma” ma colmo di eccentricità di quella che si presenta a tutti gli effetti come una suite. Tra ritmiche contorte, corde violentate e voci impazzite, ecco sul piatto una nuova succulenta pietanza da (de)gustare.

Non fosse per le scariche violente della batteria (elemento che più di tutti porta “disturbo”), grazie al canto femminile “altolocato” e al Tisocco d’oltralpe, Yi Yin I Touei (Le lac) sembrerebbe uscire da un album degli Opus Avantra.

Molto nervosa Yi Yin I K’ien (Le ciel), soprattutto nella sua sezione ritmica. Le voci, senza problema alcuno, assecondano, mentre le tastiere alternano momenti di insania a stati di quiete.

Anche se Yi Yin I Kan (L’eau) prende vita rumorosamente, ciò che segue è piuttosto imprevisto, almeno per una parte, il tentativo di offrire qualcosa di più melodico, grazie ai giochi vocali di Maresco e Nachury. Un esperimento riuscito, ma mai dimenticare di essere all’ascolto di un album de Le Grand Sbam… e il collettivo ce lo ricorda prontamente inondandoci di “ceffoni”.

Decisamente più rarefatta la partenza di Yi Yin I Ken (La montagne) ma con quella strana sensazione di fondo che mette i brividi. Ed è una costruzione lenta quella messa in scena da Le Gran Sbam, piccoli tasselli, lievi stratificazioni che esplodono improvvisamente e per pochi attimi, giusto per tenere alta la concentrazione, sino a deflagrare violentemente nei minuti finali in una sorta di vortice alla Ruins “rafforzato”.

Briosa e folkeggiante si presenta la conclusiva Choon Choon, con un guizzante piano a far da base ad un canto rapido ed “etnico”. E poi tutto scompare per riemergere più avanti. Un brano certamente diverso da quanto ascoltato sinora.

Album decisamente non adatto ai “deboli di cuore”.

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