Mattei Marco – Out of Control

MARCO MATTEI

Out of Control (2021)

7D Media/Third Star Records

 

Non uno sprovveduto. Questo il primo pensiero che nasce approcciandosi all’esordio discografico di Marco Mattei: Out of Control.

La cover magrittiana, molto profonda e per nulla banale, è il benvenuto. Poi, prima di ascoltare, basta passare in rassegna i nomi dei musicisti che hanno collaborato alla realizzazione dell’album per confermare la riflessione iniziale: alla voce Dave Bond, Matthew Brown, Felix Brandt, Barak Seguin e Richard Farrell; batteria e percussioni affidate a Jerry Marotta, Pat Mastelotto, Chad Wackerman, Clive Deamer, Matt Crain, Gianni Pierannunzio, Salvatore Mennella e Matilde Mattei; al basso Tony Levin, Fabio Trentini e Gabriele Bibbi Ferrari; synth, Moog, Wurlitzer, piano e Mellotron nelle mani di Duilio Galioto. E ancora: Paolo Gianfrate (tastiere), Dave Bond (mandolino), Marco Planells (sitar), Paul Johnson (flauti), Diederik van den Brandt (pedal steel), Rob Wakefield (violino), Max Rosati (chitarra elettrica) e Mauro Munzi (reverse Piano). Con loro, ovviamente, Marco Mattei (chitarra elettrica e acustica, guitar loops, resonator, bouzouki, basso elettrico (suonato anche con arco), voce, shaker, percussioni elettroniche e acustiche, samples e programming.

E, infine, c’è l’ascolto. Mattei ci svela la sua “playlist” più intima, quella più sincera e personale, una serie di brani legati concettualmente (i testi ruotano intorno a cose che non possiamo controllare come il luogo e il tempo in cui siamo nati, il colore della nostra pelle o le persone che incontriamo durante la nostra vita) ma che svariano in lungo e in largo tra i generi, denotando una conoscenza e una passione per la musica invidiabile. In Out of Control troviamo quindi brani che si muovono tra il folk e le sonorità alla Steven Wilson, tra l’hard rock/metal e il country, passando per melodie orientalizzanti e mediterranee, acustiche e, ovviamente, prog rock. Un piacevole caleidoscopio di immagini e sensazioni reso tale dalla superba squadra di musicisti già menzionata. E anche la scelta di affidare le parti vocali a diversi interpreti risulta vincente. Differenti anime, differenti attitudini ma resa molto alta e “centrata”.

Molto “educata” prende il via Would I Be Me, con il suo ritmo lento e i tocchi delicati di mandolino (suonato da Dave Bond) e chitarra, e quell’area folkeggiante che prende sempre più piede con l’ingresso del canto caldo dello stesso Bond. If I had dark skin – would I be me / If I was a king – would I be me / If I was born in ’43 – would I be me / If I was a girl – would I be me / If I could not stand – would I be me / If I was born far away – would I be me / When you judge, when you choose / When you win, when you lose / Think of what could have been / Think would I be me […]. E quando scende in campo il sitar di Marco Planells, l’atmosfera si sposta di poco verso oriente, mentre nelle retrovie le pelli di Marotta e il basso di Levin iniziano a fare la voce grossa. E poi tutto scorre piacevolmente con una miscela incantata ai limiti della psichedelia.

[…] I don’t look the same / You don’t look the same / We cannot move on / I cannot step back / That’s what we became / A picture in a frame […]. Decisamente vivace Picture in a Frame, tutta giocata inizialmente sulle irregolarità ritmiche di Mastelotto e Levin, i guizzi chitarristici e la voce filtrata di Mattei. E poi tutto si apre planando verso territori wilsoniani. Quanto segue è una lotta senza esclusione di colpi tra i protagonisti sonori principali, prima che ritorni in scena Brown. Da evidenziare la prova davvero massiccia di Mastelotto e Levin. Una garanzia.

More Intense. E dopo lo sfogo di Pat Mastelotto, la batteria “si riposa” con l’andatura compassata di Clive Deamer, dando il tempo a un episodio infuocato e avvolgente, che si sviluppa un po’ alla Phil Collins, di mostrare tutta la sua naturalezza e la sua armonia.

Tenera si mostra nella sua interezza I’ll Be Born, una lunga carezza di chitarra acustica (Mattei), voce (Felix Brandt) e flauto (Paul Johnson). Tutto magicamente fatato. […] I’ll be born every time you‘ll be with me […].

È il canto della piccola Arianna Mattei ad accoglierci in Lullaby for You. Poi il canto di Brandt e tutto il gruppo di musicisti che l’accompagna in questo episodio si lanciano in qualcosa di molto esotico, hawaiiano, quasi proseguendo la dolce melodia del brano precedente ma donandole una diversa chiave di lettura.

Di tutt’altra pasta Anymore. Dopo tanta delicatezza ecco un tassello spiazzante, Mattei ci spara in faccia un brano elettrizzante, granitico, sul filo dell’hard rock/metal alla Deep Purple/Judas Priest. La voce di Barak Seguin si mostra funambolica e adattissima al contesto. Da evidenziare il gran lavoro “in velocità” di Matt Crain alla batteria e quello rabbioso di Marco Mattei alle chitarre.

È la chitarra country di Mattei ad emettere i primi vagiti di Tomorrow, con la batteria di Gianni Pierannunzio e il tocco di shaker di Matilde Mattei che ben presto si accodano facendo sfociare tutto tra le pieghe dei Lynyrd Skynyrd. Poi tutto si illumina e una lieve patina mediterraneo si somma al quadro. Ma non basta, c’è anche del buon rock distorto ad aggiungere strato a strato (l’assolo rovente del padrone di casa).

Space le prime note di Void, prima che tutto muti drasticamente grazie al lavoro denso di chitarra e ritmiche e, infine, alla voce calda di Richard Farrell. Anche se il passo non è sostenuto, c’è una certa dinamicità di fondo, ben retta anche dal sottobosco tastieristico, con picchi alla ifsound. Interessanti le aperture eleganti e avvolgenti. E negli ultimi minuti Mattei e i suoi “uomini” impazziscono dando sfogo a tutta la propria carica vitale, molto seventies. […] The more the things change, the more they stay the same […].

Lo sfogo finale di Void sfocia nella carezzevole e romantica On Your Side. La voce di Dave Bond è puro velluto adagiato su un tappeto morbidissimo (nonostante i tocchi nettamente percepibili di batteria). E la poesia non cessa lungo tutto il percorso del nono episodio di Out of Control, scorrendo via lieve, con un attimo di tensione in coda.

Breve scheggia orientalizzante After Tomorrow, affidata al bouzouki incantatore di Mattei.

Intenso il crescendo sonoro trascinato da Jerry Marotta posto in apertura di Hidden Gems. E quando si è certi di dover essere travolti da un momento all’altro, la situazione si cristallizza e si resta sospesi in un mondo etereo in cui le pelli continuano a battere, instancabili, e l’elettronica e le chitarre restano fluttuanti sulle nostre teste.

Gone. Un po’ blues e un po’ gilmouriana ci accoglie la chitarra di Marco Mattei, mentre il sottofondo ritmico si tiene a freno lasciando completamente la scena al suo lungo assolo, al suo lungo commiato. Il suo sentito ringraziamento.

 

ENGLISH VERSION

MARCO MATTEI

Out of Control (2021)

7D Media/Third Star Records

 

Not a novice. This is the first thought that arises when approaching Marco Mattei‘s debut album: Out of Control.

The Magritte-like cover, very deep and not at all banal, is welcome. Then, before listening, it is time to read the names of the musicians who collaborated on the album to confirm the initial thought. Dave Bond, Matthew Brown, Felix Brandt, Barak Seguin, Richard Farrell (vocals), Jerry Marotta, Pat Mastelotto, Chad Wackerman, Clive Deamer, Matt Crain, Gianni Pierannunzio, Salvatore Mennella, Matilde Mattei (drums and percussion), Tony Levin, Fabio Trentini, Gabriele Bibbi Ferrari (bass), Duilio Galioto (synths, Moog, Wurlitzer, piano, Mellotron), Paolo Gianfrate (keyboards), Dave Bond (mandolin), Marco Planells (sitar), Paul Johnson (flute and whistle), Diederik van den Brandt: (pedal steel), Rob Wakefield (violin), Max Rosati (lead electric guitar), Mauro Munzi (reverse piano) and, obviously Marco Mattei (electric and acoustic guitars, guitar loops, resonator, bouzouki, electric bass, bowed electric bass, vocals, shaker, electronic and acoustic percussion, samples and programming).

And finally, listening. Mattei unveils his most intimate, most sincere and personal ‘playlist’, a series of tracks that are conceptually linked (the lyrics focus on things we can’t control, such as the place and time we were born, the colour of our skin or the people we meet in our lives) but which range across genres, denoting an enviable knowledge of and passion for music. In Out of Control we find songs that move between folk and Steven Wilson sounds, between hard rock/metal and country, through oriental and Mediterranean melodies, acoustic and, of course, prog rock. A pleasant kaleidoscope of images and sensations made so by the superb team of musicians already mentioned. And the choice of entrusting the vocal parts to different performers is also a winning one. Different souls, different attitudes, but a very high and “centred” performance.

Very “polite” starts Would I Be Me, with its slow rhythm and delicate touches of mandolin (played by Dave Bond) and guitar, and that folkish side that gets more and more prominent with Bond’s warm singing. If I had dark skin – would I be me / If I was a king – would I be me / If I was born in ’43 – would I be me / If I was a girl – would I be me / If I could not stand – would I be me / If I was born far away – would I be me / When you judge, when you choose / When you win, when you lose / Think of what could have been / Think would I be me […]. And when Marco Planells’ sitar comes in, the atmosphere shifts a little to the Orient, while in the background Marotta’s drums and Levin’s bass start to take the lead. And then it all flows pleasantly with an enchanting mixture bordering on psychedelia.

[…] I don’t look the same / You don’t look the same / We cannot move on / I cannot step back / That’s what we became / A picture in a frame […]. Picture in a Frame is a very lively track, initially played on the rhythmic irregularities of Mastelotto and Levin, the guitar flicks and the filtered voice of Mattei. And then everything opens up, gliding towards Wilsonian territories. What follows is a no-holds-barred battle among the main sonic protagonists, before Brown returns to the scene. Mastelotto and Levin’s massive performance is worth highlighting. A guarantee.

More Intense. And after Pat Mastelotto’s outburst, the drums “rest” with Clive Deamer’s relaxed pace, giving time to a fiery, enveloping episode, that sounds a bit Phil Collins-like, to show all its naturalness and harmony.

Tender is I’ll Be Born in its entirety, a long caress of acoustic guitar (Mattei), voice (Felix Brandt) and flute (Paul Johnson). All magically enchanted. […] I’ll be born every time you’ll be with me […].

It is the voice of little Arianna Mattei that greets us in Lullaby for You. Then Brandt’s singing and the whole group of musicians accompanying her in this episode launch into something very exotic, Hawaiian, almost continuing the sweet melody of the previous track but giving it a different interpretation.

With completely different characteristics comes Anymore. After so much delicacy, here’s an unsettling track, Mattei shoots an electrifying, granitic song in our faces, on the edge of Deep Purple/Judas Priest style hard rock/metal. Barak Seguin’s voice is acrobatic and well suited to the context. Matt Crain’s great “speed” work on drums and Marco Mattei‘s furious sound on guitars must be underlined.

It is Mattei‘s country guitar that emits the first wails of Tomorrow, with Gianni Pierannunzio’s drums and Matilde Mattei’s shaker touch soon joining in, taking everything into the folds of Lynyrd Skynyrd. Then everything lights up and a slight Mediterranean patina adds to the picture. But that’s not enough, there’s also some good distorted rock to add layer upon layer (the scorching solo by the host).

Space the first notes of Void, before everything changes drastically thanks to the dense guitar and rhythm work and, at last, to Richard Farrell’s warm voice. Although the pace is not fast, there is a certain underlying dynamism, well supported by the keyboard undergrowth, with peaks like ifsound. The elegant, enveloping “openings” are interesting. And in the last minutes, Mattei and his “men” go crazy giving vent to all their vital charge, very seventies. […] The more the things change, the more they stay the same […].

The final outburst of Void flows into the caressing and romantic On Your Side. Dave Bond’s voice is pure velvet laid on a very soft carpet (despite the clearly perceptible touches of drums). And the poetry does not cease throughout the ninth episode of Out of Control, flowing away lightly, with a moment of tension at the end.

After Tomorrow is a brief, orientalising splinter entrusted to Mattei‘s enchanting bouzouki.

The sound crescendo driven by Jerry Marotta at the opening of Hidden Gems is intense. And when you’re sure you’re about to be swept away at any moment, the situation crystallises and you remain suspended in an ethereal world where the drum skins continue to beat tirelessly and the electronics and guitars remain floating above your head.

Gone. A little bit bluesy and a little bit Gilmourian, Marco Mattei‘s guitar welcomes us, while the rhythmic background holds back, leaving the scene completely to his long solo, to his long farewell. His heartfelt thanks.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *