Nodo Gordiano – H.E.X.

NODO GORDIANO

H.E.X. (2021)

Lizard Records

 

Ad un solo anno di distanza da “Sonnar”, l’instancabile Nodo Gordiano torna con l’ennesima prova maiuscola che ne stravolge ancora, in parte, il percorso artistico: H.E.X..

Ispirato dai contenuti senza tempo del Libro dei Mutamenti, il nuovo lavoro interamente strumentale della band si presenta perfettamente bipartito: due brani monstre da 26 minuti ciascuno, equamente divisi nella loro scrittura, il primo a firma di Andrea De Luca (sintetizzatori analogici e digitali, campionatore, basso, chitarra acustica ed elettrica, devices), il secondo di Davide Guidoni (tastiere, campionatore, percussioni acustiche ed elettriche).

Ecco allora che, trovato il “socio perfetto” in Guidoni (e un equilibrio interno che non guasta, grazie anche a Filippo Brilli, suoi sax tenore, baritono e alto), De Luca è totalmente libero di portare avanti la sua idea di Nodo Gordiano, un’entità artistica svincolata da qualsiasi “gabbia”, ed H.E.X. ne è l’esempio lampante, un’opera che fa della non linearità, della complessità e dei contrasti il suo credo.

Due brani, come dicevamo, compongono H.E.X. (Hic Erant Xoana), due letture in musica di due esagrammi tratti dal “Libro dei Mutamenti”, o “I Ching” (entrambi ben rappresentati sulle due facce della “confezione” dell’album realizzata da Guidoni). Il primo è il numero 32, Heng, che descrive il concetto di durata e, attraverso una serie infinita di soluzioni sonore, raffigura la complessità e la sincronicità delle dinamiche esistenziali, sospese tra durata, frammento, contrasto e simultaneità. L’altro è il numero 44, Kou, e riproduce nei suoi vari momenti l’esperienza dell’incontro e della relazione, dall’approssimarsi remoto ed inconsapevole, alla comunicazione ed al contatto, ricreando il flusso delle energie emotive e vitali connesse all’esperienza dell’altro. Nella seconda parte si apre alla dimensione della prospettiva temporale e dell’illusione panica, caratterizzata dal trasporto in un universo collettivo onirico ed immemore, nella quale, alla fine, l’esperienza individuale si frantuma e viene riassorbita.

Heng. Si schiude lentamente il brano d’apertura, in piena natura, ipnotico. Un crescendo lento, teso, elettronico, che sfocia poi nei suoni netti e vivaci di batteria e basso, con quel tocco policromo di sax che ci porta in territori canterburyani. La “sosta” del duo ritmico e di Brilli lascia tutto in mano ai corrieri cosmici, un tuffo completo nello spazio profondo. Tutto è avviluppante, alienante, infinito. Ci riporta, non completamente, a terra un “ronzio sintetico” e il ritorno in scena del Guidoni dietro le pelli. I mondi teutonici non vengono abbandonati ma arricchiti di sperimentazione, pizzichi di world music e tanta follia, prima di trovare una sorta di “linea comune” seguendo il diktat delle corde (chitarra e basso), magistralmente suonate da De Luca, e della batteria. Ma un brano di 26 minuti dura comunque 26 minuti, e allora i tre proseguono senza sosta ripescando a piene mani dal mondo krauto e arricchendolo di un tocco esotico/psichedelico, ma anche battiatiano (sperimentale). Il prosieguo è ancor più lisergico, allucinatorio, qualcosa di “informe”, fluido, che solidifica poco avanti nelle ritmiche granitiche di Guidoni, nelle urla lancinanti del sax di Brilli e nei graffi violenti della chitarra di De Luca. E ancora avanti, imperterriti, in un turbinio dal sapore nero, una jam che si configura quale sabba nero. Quanto offerto dal Nodo Gordiano è sempre più avvincente, epico, e si giunge alla conclusione personale che una vera conclusione di questo episodio non avverrà mai. È una strada che si biforca, e ancora, e ancora, per poi lasciar credere di aver ritrovato una via già battuta, ma è solo illusione. E quando giunge un caldo vento cosmico a spazzare via tutto, sei finalmente certo di aver raggiunto la destinazione… ma…

“Campanelle scacciaspiriti” sospinte dal vento: un’immagine poetica ci accoglie in Kou. Un qualcosa che si fa magnetico col trascorrere dei secondi, grazie anche alla chitarra acustica carezzata da De Luca e all’elettronica, con quest’ultima che fa propria la guida, in seguito, senza mai esagerare. È un flusso che non dà segni di cedimento, anzi si arricchisce di dettagli interessanti, sinistri, alienanti, decisamente provenienti dalle terre dei Tangerine Dream. Ottimo anche l’ingresso di Brilli e la svolta un po’ Van der Graaf Generator che prende il brano. E, quando meno te l’aspetti, subentra qualcosa di emotivamente intenso, che corre pericolosamente su un filo che divide sensazioni positive da negative, con queste ultime che avranno ben presto la meglio grazie alla fisionomia caotica che si palesa nitida poco oltre. Etereo, ma ancora lovecraftiano e leggermente “ostile”, il prosieguo. Senza tempo, senza fine. Finale travolgente.

E quando termina l’album fatichi a realizzare quanto tempo sia trascorso dal momento in cui hai premuto play.

Lavoro consigliato a chi ama perdersi nei tortuosi percorsi dell’Arte, senza preoccuparsi di rintracciarne l'”uscita”.

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