Capside – Ladyesis

CAPSIDE

Ladyesis (2023)

Autoproduzione

 

A trent’anni dall’avvio del proprio cammino, i Capside hanno ancora (e per fortuna) voglia di sorprendere.

Ladyesis è il titolo del nuovo album che vede sempre insieme il quintetto storico formato da Valentina Casu (voce), Manolo Ciuti (basso), Roberto Casada (batteria), Martino Faedda (chitarre) e Giovanni Casada (tastiere).

Sarebbe “riduttivo” etichettare il lavoro solamente quale ottimo esempio di progressive rock contemporaneo. I Capside sono decisamente consapevoli di avere nel proprio DNA l’“attitudine prog” e usano tale capacità nel miglior modo possibile, rimuovendo ogni limite alla fantasia, alla libertà e alla contaminazione. Ne risulta così un disco eclettico, imprevedibile, spiazzante, otto brani in cui si passa dalla fusion al prog, dal metal al blues (giusto per citare solo alcune delle influenze rinvenibili) senza percepire alcun “scricchiolio”. Tutto è meditato e realizzato con cura, un continuo “fluttuare” intelligente e creativo tra i generi che trova compimento (anche) nelle peculiarità vocali di Valentina Casu (e ugualmente nel suo talento di autrice dei testi).

Pochi secondi morbidi affidati alla voce di Valentina Casu, prima di lanciarsi in una frizzante andatura ben guidata da ritmiche, corde e tastiere, con Valentina ancor più dentro al tutto: così ci accoglie Di notte (Ladyesis Pt. 1), brano d’apertura di Ladyesis. E sarà così sino alla fine, con un bel solo di piano nel mezzo e un finale dal flebile sentore new wave. […] Ed affidarsi alla propria immaginazione / E poi nutrirla come fosse un ideale / Senza il bisogno neanche di bere e mangiare […].

Nata in un istante / di puro smarrimento / Figlia io non ti voglio / ed io piena di sgomento / E quando ho realizzato / di esser venuta al mondo / Senza una guida certa / lì già toccai il mio fondo / E quanto tempo è passato / a porti le domande sbagliate / Senza mai fare i conti / con la tua essenza… […] Dea impatta violentemente con le sue granitiche distorsioni, prima di “affievolirsi” aggrappandosi al canto caratteristico di Valentina. E dopo un picco di intensità collettiva, la chitarra di Faedda e le ritmiche del duo Ciuti/Roberto Casada premono sull’acceleratore e si vola letteralmente, sino a lambire lande metal, prima di planare maestosamente a “casa prog”. Gran prova di forza dei Capside.

Intreccio romantico e toccante di chitarra classica e voce quello che ci accoglie in A mio figlio, con la voce della Casu carica di una forza elegante alla Mia Martini. E quando anche le tastiere arrivano in scena, tutto si ammanta di eterea malinconia. E Il testo è una tenera poesia, una piccola lettera scritta a mio figlio, nata da una musica che avevamo nel cassetto da un po’ di tempo e che parla di come diventare padri e madri possa cambiare la percezione della propria esistenza (parole di Valentina Casu). […] Se tu potessi sempre / Ridere e scherzare / Domani come oggi / E non lasciarti andare / E poi lasciarti amare / E se io potessi ancora / Vedere farti uomo/ Ed invecchiare / E non avere più paura […].

Ammantata da un soffice strato onirico appare Filastrocca di periferia. Gradevole la soluzione chitarristica di Faedda, col canto perfettamente calata nell’atmosfera. Le ritmiche eseguono un gran bel lavoro nelle retrovie, “scomparendo” al momento opportuno. Ai due minuti tutto cambia e aumenta la pressione offerta dalla band, prima di riportare tutto “in carreggiata”. Finale caloroso (ottima prova di Giovanni Casada).

E accontentarsi di poche emozioni / E chiamarlo vivere / Giorni che scorrono ma tutti uguali / Imparando a fingere / Uomini passano in fila / Lungo le strade come termiti / Improvvisamente vederci più chiaro / Svegliarsi al limite / Noi ci muoviamo in quest’universo / Di solitudini / Siamo pagine di un testo / Che qualcuno ha scritto / Per poi deluderci […]. Frizzante ed eighties Termiti. La sezione ritmica affidata a Manolo Ciuti e Roberto Casada compie un lavoro egregio lungo tutto il percorso (basso da applausi), mentre tastiere e chitarra descrivono continui vivaci paesaggi da cui, protagonista indiscussa, emerge la voce di Valentina.

Gran bella verve rockeggiante per Un altro lunedì, con la solita voce espressiva e sognante della Casu ad emergere incontrastata. Nelle retrovie, batteria e basso tessono una piacevole trama “colta al balzo” dalle evoluzioni un pizzico southern rock di Faedda (e dalle tastiere).

Pimpante e fresca, condita da una spolverata di PFM, prende il via Ladyesis (Pt. 2). Superlativo l’assolo ruvido di Faedda, ben “piazzato” sulle veloci trame del duo ritmico. E con continui cambi di ritmo e ambientazioni, si avanza spediti, tra “luci e ombre”, sino a consegnarsi, per un po’, nelle mani sapienti di Giovanni Casada.

Si chiude con Azazel. E, quando meno te l’aspetti, si piomba tra le spire doom dei Black Sabbath. Passi pesanti e macigni distorti offerti in dote alla voce di Valentina. Ma tutto sembra aprirsi quando il piano prende il sopravvento. È solo un momento. Poi è magma rovente, sino al nuovo assolo di Faedda. Chiusura inaspettata di un album che sorprende e certifica la qualità di una band da seguire senza dubbio.

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