Il ciclo dell’acqua

«Spettacolare vero?».
Gli occhi di Nina furono sopraffatti da quella pioggia di stalattiti, da quella distesa infinita di stalagmiti, da quell’acqua cristallina. Era la prima volta che entrava nella Sala delle Candeline delle Grotte di Frasassi. Quel giorno sbocciò la sua passione per le cavità naturali, una passione che già pervadeva da anni le vene e le ossa del suo Lio.

«Sei pronta? Hai controllato l’imbracatura? L’illuminazione del casco? Nel sacco hai tutto? Corda, ancoraggi, bloccanti, torcia… acqua e cibo?». La serie di domande, una routine, era nata dalle labbra di Lio, Clelio Stano, trent’anni, fisico statuario, un metro e ottantaquattro centimetri di carne e muscoli ben proporzionati, capello nero e quello sguardo hollywoodiano che aveva catturato Nina sin dal primo giorno.
«Si, capo. Ho tutto, tranne acqua e cibo perché sono nel suo sacco, come ordinato da lei ieri sera» rispose con tono sarcastico Nina, Annina Lusi, un anno e quindici centimetri in meno di Lio, magra come un giunco, scura di pelle, capelli e occhi. Era caduta tra le braccia del suo Lio quasi cinque anni prima.
Lui la fissò sorridendo, poi disse: «Brava alunna» e la baciò.
Era passato un anno da quel giorno di Frasassi e in questo anno la voglia di esplorare grotte era cresciuta in maniera esponenziale in Nina. Lio, ovviamente, ne era entusiasta.
«Come ben sai, nella Gola di Frasassi e in quella detta “della Rossa” ci sono numerose grotte già esplorate dall’uomo in passato e anche da me. Molte di queste cavità carsiche sono davvero spettacolari e per fortuna alcune sono anche visitabili. Ricordi ancora la Sala delle Candeline, vero?». Non attese una risposta, bastò osservare il suo sorriso.
«Grotta dei Baffoni, Grotta del Carbone, Grotta del Vernino, Grotta del Prete, Grotta della Beata Vergine di Frasassi e tante altre ancora. Molte di queste sono state anche indagate tramite scavi archeologici e hanno restituito tracce umane. Pensa che tale presenza è stata rilevata anche dal famoso paletnologo Luigi Pigorini». Amava indossare i panni del professore ed esibire le sue conoscenze, non a caso il suo motto era: “Preferisco abbeverarmi alla fonte di Apollo e non a quella di Bacco”.
Lei, invece, annuiva semplicemente, rapita come sempre dal suo modo di raccontare.
«Sai perché oggi siamo qui? Si, ovviamente per la nostra esplorazione domenicale. Intendevo in questo punto».
«No, perché?».
«Non molto tempo fa, passeggiando nel Parco Nazionale con Luigi, ho notato questa piccola apertura che vedi alle mie spalle, un po’ nascosta dalla vegetazione. Non l’avevo mai vista prima e non so se sia stata mai esplorata, non ho trovato notizie al riguardo. Quel giorno non entrammo perché era già tardi e, sinceramente, già consideravo di ritornarci con te». Le sorrise, lei ricambiò.
«E allora eccoci qui: a noi l’onore di entrare, forse, per primi in questa cavità che da oggi si chiamerà Grotta di Nina».
«…almeno fino a quando non scopriremo che la grotta è stata già visitata e ha già il suo nome!» rispose ironicamente Nina. Poi aggiunse: «Grazie per il dolce pensiero. Sei straordinario». E lo baciò teneramente.
«Se sei pronta possiamo iniziare la nostra nuova avventura».
«Si, andiamo».
Dopo aver attraversato, non senza difficoltà, la stretta apertura, la coppia, lui davanti, iniziava la sua lenta ricognizione della cavità. Facendo attenzione ad ogni passo, Lio guidava con sicurezza la sua Nina, la sua pila elettrica montata sul casco illuminava il percorso roccioso. Tra restringimenti e ampie aperture, pozze d’acqua e superfici scivolose, i due camminarono per circa quaranta minuti non incontrando veri ostacoli o visioni degne di nota.
Ad un tratto un fugace brillio incrociò la torcia di Lio. Pochi passi e, superato un passaggio arcuato alto quasi quanto Nina, gli occhi dello speleologo restarono abbagliati: davanti a sé s’aprì una vasta camera invasa da migliaia di candide stalattiti e stalagmiti. Restò immobile e senza fiato.
«Che succede?» chiese Nina.
«Guarda».
«Meraviglioso! Sembra la Sala delle Candeline!» esclamò lei dopo essersi lasciata rapire per una quantità di tempo indefinibile.
«Si, la ricorda un po’. Questa è più piccola come camera, però il fascino è identico».
Dopo aver nutrito gli occhi per diversi minuti, Lio decise che era giunto il tempo di nutrire anche il corpo per poi riprendere il cammino.
«Hai visto lì, in fondo a quella parete? Ci sono alcune aperture. Proseguiamo?».
«Va bene, capo. Ma cos’è questo rumore?».
«Credo sia una corrente sotterranea. Chissà, forse la incroceremo sul nostro cammino».

Pochi minuti dopo aver intrapreso il nuovo percorso, Lio aveva amorevolmente ceduto il compito di scegliere la nuova via, tra le tre possibili, a Nina, i due trovarono il primo vero ostacolo: la strada ipogea terminava contro una parete in cui si intravedeva solo un piccolo passaggio, attraverso il quale si procedeva solo strisciando.
«E ora?» chiese un po’ scoraggiata Nina.
Lio, prima di rispondere, azionò la sua torcia tascabile e illuminò l’apertura.
«Se te la senti passiamo. Di là la galleria continua».
«Ci sto».
«Procediamo così: vista la stretta apertura, attraverso prima io, poi tu e infine tiro dentro le due sacche allungando fuori il braccio. Ok?».
Nina annuì.
Il passaggio dei due fu senza grossa difficoltà, stesso dicasi per il recupero del primo zaino, quello di Nina. Al momento di afferrare anche il secondo, la mano di Lio andò a vuoto. Pochi attimi è un sordo “pluff” echeggiò nella cavità. Il sottile diaframma su cui era poggiato lo zaino, a loro insaputa, collassò lasciando cadere la sacca nel vuoto.
I due si osservarono silenziosi e impietriti. Fino a pochi minuti prima su quella subdola superficie c’erano loro.
«E ora?». Questa volta la domanda di Nina era l’interrogativo di chi ha davvero paura.
Lio non rispose subito, anche lui era visibilmente scosso dall’accaduto. Tacque per diversi secondi, poi, ritrovato parte del coraggio e della sicurezza, disse: «Indietro non si torna, questo è chiaro. Non possiamo fare altro che proseguire con maggiore attenzione e sperare di trovare un’altra uscita».
«E se cede anche il piano che andremo a calpestare? Io ho paura».
«Anch’io ora non mi sento più sicuro» ammise, «ma è l’unica nostra possibilità. C’è un fiume sotterraneo che deve per forza sfociare da qualche parte. Speriamo di incrociarlo quanto prima ma, soprattutto, cerchiamo una via d’uscita, anche perché nel mio zaino c’erano cibo ed acqua».
A quest’ultima affermazione il cuore di Nina si fermò.
«I viveri, dannazione!» esclamò con rabbia mista a panico.
«Calma. Ti prometto che ti tirerò fuori di qui» disse pacatamente Lio abbracciandola forte.

Camminarono per un tempo indefinito, infinito per Nina, centellinando anche le fonti di luce a loro disposizione, senza incontrare spiragli di fuga. Una costante del loro cammino fu il sordo rumore della corrente sotterranea.
«Sono stanca e ho sete» disse ad un certo punto un’esausta e nervosa Nina.
«Lo so ma devi restare calma altrimenti da qui non si esce. Fermiamoci qualche minuto. Per l’acqua troveremo un modo».
Sedutisi a terra con le spalle contro una delle pareti, nessuno trovò la forza di parlare. Anche la corrente ora sembrava abbandonarli con il suo rumore diventato quasi un sibilo lontano. In questo silenzio Lio, però, udì qualcosa.
«Lo senti anche tu?» chiese a Nina
«No, cosa?»
«Questo “plic plic”. Sembra acqua che gocciola».
«Davvero?».
«Se il mio udito non mi inganna sì. Resta qui, faccio qualche metro in avanti cercando di capire da dove proviene».
«Sì ma non allontanarti troppo».
Tornò dopo pochi minuti.
«Problema acqua risolto, almeno per ora. Vieni».
Nina non rispose ma i suoi occhi luccicarono sotto il fascio di luce.
«Guarda, il gocciolamento sta creando, molto lentamente, una stalattite. Per fortuna in basso s’è creata una discreta pozza d’acqua che credo si possa bere in sicurezza» disse Lio una volta raggiunto il punto da poco scoperto.
Lei bevve avidamente, lui la seguì.
«E ora?» chiese Nina. L’essersi dissetata, ovviamente, non le bastò.
«Ora proseguiamo».

L’impossibilità di scorgere una via d’uscita rendeva quel cammino interminabile. Nina era ormai sfinita, fisicamente e mentalmente, Lio, invece, cercava di resistere alla drammatica situazione, soprattutto per lei, ma la paura ormai s’era insinuata anche nella sua mente a tal punto da non fargli notare che il loro percorso aveva subito, nel frattempo, una consistente e costante deviazione rispetto alla sua linearità.
Camminarono ancora, poi, ad un tratto, un brillio non rilevato da Lio. Si voltò per sincerarsi della presenza e delle condizioni di Nina. Voltatosi nuovamente in avanti quello scintillio lo ridestò da un brutto sogno.
«Ma… ma… questa è la camera di prima! Siamo in salvo!».
Il caso, o la fortuna, aveva indirizzato, in precedenza, la scelta di Nina verso una galleria quasi circolare che si apriva e terminava nella camera ammirata solo alcune ore prima.
Un pianto liberatorio inondò il viso di Nina.
«Dai, torniamo a casa» le disse teneramente Lio cingendola a sé.

(pubblicato nell’antologia “Che sete di…!” – Montegrappa Edizioni, 2017)

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