La nostra città

Qual è il mio nome? Non è importante. Il nome di questa città? Anch’esso è superfluo. Questa è la mia città, forse anche la tua. Non credi? Vieni, ti mostrerò la tua città allora.
Ecco, questo è il suo cuore pulsante: banche, palazzi storici colmi di società quotate in borsa, uffici a sei zeri e avvocati, locali alla moda e superattici. Questo è il regno degli “accumulatori”. Chi sono? Coloro che in vita raccolgono infinte ricchezze lasciando ai figli il compito di dissiparle in parte. O tutte.
E distingui quel campanile che spunta lì dietro? Fa parte di una delle centinaia di chiese che puntellano questa città, una primitiva forma di controllo del territorio che funziona tuttora. Moschee mi chiedi? Si, una, in periferia.
Osserva quanti volti, quanti colori, quanta diversità: migliaia e migliaia di turisti affollano tutti i giorni questa città lasciandosi frodare ad ogni passo che compiono. Coraggio? Autolesionismo? O solo ingenuità? Onestamente non so risponderti. So solo che il flusso è sempre in costante aumento.
Proseguiamo. Questa è una delle arterie principali della città e l’interminabile coda di auto che noti è una costante. E questa sottilissima coltre grigia che percepisci e questo lezzo che senti sono gentilmente elargiti dai veicoli immobili ma in movimento. Si, è il prezzo da pagare per chi vive e lavora qui. L’immondizia? L’incuria? Lo stress? Fanno parte dello stesso pacchetto.
Ma questa è solo la facciata di un mondo che è poco oltre questo piccolo nucleo. Spostiamoci un minimo, ecco, vedi? Quella è la seconda stazione ferroviaria della città. In qualsiasi ora del giorno puoi trovare l’umanità più varia e disperata in cerca di qualcosa da mangiare, di una moneta. Sono lì, abbandonati a loro stessi, nell’indifferenza generale. Un’immagine riproposta in varie salse in ogni anfratto vivo della città.
Poco oltre, invece, quella infinita serie si stalagmiti grigie è il regno del popolo “minore”: un’immensa distesa di case-dormitorio che racchiude la vera forza che muove la città. Non uomini ma numeri che producono altri numeri.
Proseguiamo? No? Ti stai chiedendo perché ti narro la mia città? Perché lei è l’immagine del nostro mondo attuale. È sempre stato così? Probabilmente hai ragione ma io vivo oggi, noi viviamo oggi e questa è la mia città, è la tua città. Il suo nome? È superfluo.

(pubblicato nell’antologia “Metti un racconto a cena – III edizione” – Montegrappa Edizioni, 2019)

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