Cincinnato (1974)
PDU
Come accaduto per molti altri gruppi anche i Cincinnato legano il proprio nome al progressive italiano per la pubblicazione di un solo album (omonimo).
La band varesina nacque nel 1970, col nome di Eros Natura e un bassista (Franco Erenti) che non farà parte del “nuovo corso”. Nel 1972 inviò una demo alla PDU, etichetta specializzata nella distribuzione di musica cosmica tedesca, e fu chiamata poco dopo, dal padre di Mina (la PDU era l’etichetta creata dalla famosa cantante), per parlare della possibilità di realizzare un disco. Il cambio del nome fu suggerito dalla casa discografica stessa.
Giacomo Urbanelli (tastiere, voce), Gianni Fantuzzi (chitarra), Annibale Vanetti (basso) e Donato Scolese (batteria) registrarono le quattro tracce presenti nell’album in soli tre giorni. Il risultato è un ottimo lavoro con venature jazz e prog, in cui ogni strumento ha il suo spazio per emergere e lo fa alla grande.
Particolare la copertina dell’album che raffigura una lunga serie di uova colorate tra le quali emerge l’unico uovo bianco su cui è presente il nome della band.
Un altro elemento che lega i Cincinnato a varie altre band prog italiane è la scarsa promozione del disco fatta dall’etichetta. Nonostante tutto, il disco venne trasmesso per un po’ dalle radio ed ebbe alcune recensioni positive (per esempio da Franco Fayenz e dalla rivista Ciao 2001).
Dopo l’uscita dell’LP e alcuni concerti la band si sciolse. Già in fase di registrazione la band aveva, forse, dei dubbi sul proprio futuro. Come detto da Urbanelli, in un’intervista rilasciata ad Augusto Croce nel 2003, “probabilmente noi stessi non eravamo molto sicuri di cosa fare. Nel mio caso, ad esempio, non avevo ancora deciso se volevo essere un musicista rock o proseguire i miei studi di medicina”. L’unico elemento che continuò la sua carriera da musicista con fortuna fu Scolese, diventato batterista e vibrafonista, tra gli altri, per Battiato (presente ne “La voce del padrone”).
L’album si apre con Il ribelle ubriaco. I Cincinnato mettono sul piatto subito tutte le loro potenzialità con una lunga serie di virtuosismi. Ad aprire le danze e la batteria di Scolese, ma quasi immediatamente entrano in scena tutti gli altri elementi della band. Pregevole il lavoro del basso di Vanetti, prima in sottofondo, poi con una breve esplosione jazz. Poco più avanti lo stesso basso inizia una “lotta serrata” contro la chitarra di Fantuzzi e ne esce indubbiamente vincitore. A metà brano la tregua: un dolce piano prende le redini della composizione. Dura due minuti. Un gioco di chitarra alla Riccardo Zappa richiama sulla scena tutti i protagonisti ed è poesia (nulla da invidiare alla PFM).
Tramonto d’ottobre ci mostra un’altra faccia della band (anche se un minimo accenno lo si era già avuto, in verità, a metà del brano precedente). È il piano a dare un senso di leggerezza all’intera composizione nonostante venga “disturbato”, per buona parte di esso, dalla chitarra e dal basso (meritevole come in Il ribelle ubriaco).
Avvio, e sviluppo seguente, di autentico jazz per Esperanto. Ancora una volta grande prova di forza della band, ma meno “rumorosa” del brano d’apertura. Degno di nota il lavoro svolto da batteria, basso e piano (la chitarra darà il suo apporto un po’ più in là). Il guizzo di batteria che troviamo intorno ai due minuti e quaranta (e che ritroviamo anche dopo i cinque minuti) ricorda molto da vicino la batteria presente in buona parte del brano “La corte di Hon” dei Festa Mobile.
L’ebete è il brano più lungo dell’album (dura oltre venti minuti e occupa un’intera facciata) ed è l’unico brano in cui Urbanelli ci concede di ascoltare la sua voce. Questo accade nei primi minuti ed è accompagnata, in principio, da piano, batteria e basso molto leggeri, poi il “volume” degli stessi inizia a crescere. Molto particolare il gioco di echi seguente. I quindici minuti successivi sono un’altra ottima prova corale della band, in cui vengono dedicati “spazi per emergere” ad ogni strumento. In questi minuti si alternano segmenti molto carichi emotivamente ad altri più leggeri, che allentano la tensione. Da segnalare il botta e risposta, dopo i quattordici minuti, tra basso e piano, cui si aggregano, poco avanti, anche chitarra e batteria, fino a fondersi l’un l’altro. Finale nel segno del jazz.
Lascia un commento