Reaching for Freedom (2017)
Autoproduzione
Il settetto ferrarese dei Liquid Shades, dopo due EP e due singoli, nel 2017 ha concretizzato gli sforzi durati oltre due anni e, grazie anche ad una fortunata campagna di crowdfunding, ha pubblicato il suo primo album: Reaching for Freedom.
Marco Gemmetto (chitarra elettrica, voce), Diego Insalaco (chitarra elettrica, lap steel, tromba), Emanuele Vassalli (pianoforte, organo, sintetizzatori), Lorenzo Checchinato (sax alto, corno francese), Donato Di Lucchio (flauto traverso), Guglielmo Campi (batteria) e Matteo Tosi (voce, basso elettrico), con la collaborazione di Francesca Bargellini (voce), Matilde Lotti (voce), Massimo Malaguti (percussioni) e Fabio Valente (fagotto), sono riusciti a plasmare un lavoro in cui le sonorità progressive anglosassoni, come già dimostrato in passato, si combinano “pacificamente” e intelligentemente con quelle nostrane, riuscendo anche a “navigare” tra i decenni senza affanno.
L’album non è un concept vero e proprio, ma racchiude vari argomenti principali legati tra di loro: la rinascita di un uomo, la sua vita, il suo inconscio e la sua realizzazione come persona. Tutto questo può essere un continuo ciclo, può essere una situazione rivissuta più volte. Il primo brano si intitola “Outro: A new Beginning” proprio perché può essere sia la conclusione che l’inizio di questo ciclo.
In Reaching for Freedom compaiono quattro brani già presenti in “EP 2014”, qui riproposti quasi fedelmente ma con un doppio “cambio di scaletta”, una maggiore cura nei suoni e un deciso perfezionamento di alcuni dettagli.
Ad accompagnare graficamente il lavoro troviamo i disegni di Angela Bombardi, ispirati dall’ascolto dei brani del disco.
L’album prende il via con Outro: A New Beginning e la sua atmosfera avviluppante, cosmica, che si apre a soluzioni floydiane, prima di catapultarci tra paesaggi canterburyani con un crescendo denso ed articolato caratterizzato dal buon gioco di chitarre, dall’espressivo sax jacksoniano di Checchinato, dalla possente coppia ritmica e dall’energico soffio di Di Lucchio, una cavalcata che richiama a tratti anche la PFM. I minuti finali assumono un velo jazzato in cui gli elementi d’oltremanica tornano in modo preponderante. Immense white light / big empty spaces/ uncertainties of the present / ghosts of the past / all is so confused / all is upside down […].
Impatto ruvido e devastante quello con Reaching for Freedom. L’inestricabile tessitura creata dalle chitarre di Gemmetto e Insalaco è sostenuta ottimamente dai colpi netti e rapidi di Campi e Tosi e rinforzata dal sax e dall’organo. Ai due minuti stacco netto, siamo catapultati in territori Depeche Mode, cupi e avvolgenti, con i vocalizzi eterei di Tosi e Lotti ad impreziosire il fotogramma, prima di entrare nuovamente in “casa” di Waters & Co.. Notevole il composito finale.
Come detto precedentemente, i quattro brani che seguono Reaching for Freedom, provengono direttamente da “EP 2014”. Ne riproponiamo l’analisi rieditandola in parte per l’occasione.
Wandering in the unconscious (part 1), brano nato dalla penna della primissima formazione, rimodellato per “EP 2014” e ritoccato per il nuovo album (vedi, ad esempio, i “rinforzi” vocali dell’ospite Francesca Bargellini). Dopo un avvio multicolore, dove si passa con disinvoltura da momenti alla Bluvertigo ed attimi cantautorali sino a frangenti rockeggianti, si giunge al brano “vero e proprio”. L’interessante binomio batteria/flauto e l’atmosfera che ne scaturisce, grazie anche agli interventi di chitarra e alla voce corposa di Tosi, ricordano molto le ambientazioni di “The Wood of Tales” dei Malibran, ma non è tutto: il brano continua ad essere mutevole lungo tutta la sua durata tenendo sempre vivo l’interesse di chi ascolta. Da segnalare la svolta un po’ orientalizzante dopo i tre minuti e lo stacco al piano di Vassalli un po’ alla Boccuzzi in “La corte di Hon” dei Festa Mobile (meno “tarantolato”). E ancora, cambi di ritmo e giochi flautistici fanno di Wandering in the unconscious (part 1) un ottimo biglietto da visita. You cannot control / what is bigger than you / You cannot move anymore / enchained in your madness / imprisoned in a room without walls / victim of too many violated limits / I’m lost within myself.
Una natura antitetica contraddistingue Wandering in the unconscious (part 2). L’avvio è morbido, sulla falsariga di quanto avverrà anche nel brano successivo. In seguito, un intervento quasi alla The Mars Volta, con suoni rapidi e ruvidi e la voce di Tosi che cerca di ricalcare le orme di Cedric Bixler Zavala, dà una forte scossa all’ambiente. L’ultima parte riprende il tracciato iniziale concedendo ampio spazio ai fiati, tra cui il fagotto di Fabio Valente.
Episodio a tratti più intimo è Fade to horizon. È soprattutto la parte iniziale, basata principalmente sulla voce calda di Tosi, il dolce flauto di Di Lucchio e i lievi intrecci di chitarre e tastiera, a far percepire quest’indole “introspettiva”. Ci pensano poi sax, flauto e ritmiche a dare una breve svolta repentina al brano. La sezione centrale è ancora affidata a Tosi e ad un clima sempre intenso che cresce nella parte finale grazie al gran lavoro collettivo.
E con To glimpse the oneiric shades facciamo nuovamente un salto in Inghilterra, tra le note di King Crimson, Van Der Graaf Generator e Soft Machine. Molto spinta la prima parte, a cui è stata aggiunta una breve intro gobliniana, impreziosita da “cascate sonore”. A seguire grande inserto tulliano con flauto e chitarra sugli scudi, i quali lasciano poi spazio al sax jacksoniano di Checchinato e al bel finale corale. Altra prova importante per i Liquid Shades.
Un passaggio delicato in Reaching for Freedom è A Dream of Illusions. I primi minuti sono contraddistinti da un carezzevole intreccio in cui chitarra, tastiera e fiati s’incrociano senza “calpestarsi i piedi”. Con il segmento cantato dal passionale Tosi il flusso s’intensifica e si fa eighties, prima di sfociare in un breve ma intenso frammento dalle tinte post rock. La coda riacquista l’indole iniziale concedendo spazio alle chitarre di Gemmetto e Insalaco.
La brevissima Pro Tempore è quasi un “capriccio prog” dei Liquid Shades. Gli ottoni sommessi e il flauto spianano la strada al vispo piano di Vassalli che, a sua volta, lancia la band quasi al completo in una bella scheggia multiforme.
L’unico brano cantato in italiano è Tempo di andare, lungo episodio che chiude l’album, una vera e propria summa della proposta dei Liquid Shades. Rapidi fraseggi, passaggi melodici, momenti jazzati, vivaci inserti di fiati, lavoro costante delle ritmiche: questi sono solo i primi minuti del brano. Poi il martellante piano di Vassalli lancia dapprima l’ottone di Checchinato e poi un interessante assolo gilmouriano. Carichi di tensione gli ultimi minuti, tensione che si scioglie sul finire chiudendo un lavoro stimolante, un’opera prima di un collettivo che ha idee interessanti ed è abile a metterle su “carta”.
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