Finitor Visus Nostri (2016)
Masked Dead Records
Strana storia quella che aleggia intorno a Finitor Visus Nostri e Machina Coeli. Partiamo da due punti fermi: Coatl M. Evil, padre del progetto Machina Coeli, e le sue tastiere, o meglio, la sua workstation Korg X3.
L’idea, e poi il “corpo”, di Finitor Visus Nostri nasce tra il 1997 e il 1998, influenzato da quelle sonorità ambient scure e medievaleggianti tipiche di una certa scena che trova, forse, in Mortiis uno dei punti alti. Registrato nel 1998 grazie a Marco Gasparetto (c’è anche la sua chitarra in due brani), il miniCD giunge nelle mani di Brian Hirsch, boss della Moonchild Records, ed è pubblicato nel 1999. La collaborazione Machina Coeli-Moonchild Records sarebbe continuata con la pubblicazione di un LP ma la scomparsa misteriosa di Hirsch (di lui restano solo un ufficio distrutto, la ricevuta d’acquisto di una pistola e un furgoncino abbandonato ai limiti di un bosco, il corpo non fu mai trovato) interruppe tutto. Il progetto Machina Coeli termina poco dopo e Coatl M. Evil, mutato il nome in Mickey E. Vil, forma, qualche anno dopo, The Mugshots.
Di Machina Coeli e Finitor Visus Nostri si torna a parlare dapprima nel 2012, quando la Giallo Records distribuisce l’album in versione digitale, e poi nel 2016, quando la Masked Dead Records lo ristampa ufficialmente in edizione deluxe (custodia di legno con chiave antica) e mini-dvd case.
In Finitor Visus Nostri, tra musiche cinematografiche e atmosfere gotiche e “ignote” dalle venature medievali, è raccontata la storia di un guerriero che abbandona l’idea di guerra come soluzione in sé per perseguire – ispirato dal fantasma del nonno comparso in riva al lago – l’Ideale, somma di verità, amore e libertà (dall’intervista rilasciata sul blog http://ilmondodiedu.blogspot.it/).
È la drammatica Nightmare / Lost Souls ad aprire l’album. Un sinistro lamento si fa spazio tra la cupa elettronica di Coatl M. Evil, mentre i suoni diluiti della chitarra gilmouriana di Gasparetto distendono, in sottofondo e per pochi attimi, l’atmosfera. Delle campane funeree, in seguito, fanno piombare ancor più nell’”oblio” il brano imprimendo una svolta decisamente sinfonica e gobliniana.
Anche in Dawn troviamo delle campane in apertura ma il loro “umore” sembra diverso dalle precedenti, quasi festoso, e questo clima è accentuato dai corni giubilanti che accolgono il “ritorno dei cavalieri” (non a caso s’incrociano col suono degli zoccoli galoppanti). A seguire è luce pura, le tastiere eteree, luminose e cinematografiche di Coatl M. Evil avviluppano la scena.
Il chiarore finale del brano precedente prosegue anche in Victory, prima che nuove fosche campane diano il via ad un momento di pura epicità morriconiana, con soluzioni d’archi davvero notevoli. Poi, un organo ecclesiastico, molto caro a Jacula e Antonius Rex, fa sua l’intera scena.
The castle: Arrival, Feast and Departure è un puro salto a corte dove, tra saltimbanchi e menestrelli, clavicembali e percussioni, si svolge una gioiosa festa con un’atmosfera molto gioviale. L’ultima parte, la “partenza”, mantiene un’anima “regale” di fondo affidandosi soprattutto all’intenso piano di Coatl M. Evil. Le onde finali ci introducono al brano successivo, Deep Blue Waters che prosegue la “via medievale/rinascimentale” con un cadenzato loop ballabile di organetto e percussioni.
Il clima torna teatrale con Revelations e il suo piano scuro, il rinforzo d’organo e la batteria marziale, sfociando poi nella epica, e a tratti gobliniana, Towards Orion (A Gentle Giant). Qui le tastiere sono abili nel destreggiarsi tra varie sfumature scure creando atmosfere fastose ed enfatiche.
Anche Epilogue prosegue sulla scia di Simonetti & Co., con la “tastiera-carillon” e il clima cupo. Tornano anche le campane a caricare il tutto e, in seguito, la chitarra “in tema” di Gasparetto. Poi, quasi a sorpresa, giunge anche l’unico momento di Finitor Visus Nostri in cui compare una voce, un frammento narrato campionato da “La Guerra Dei Mondi” di Orson Welles che va a concludere questo viaggio magico.
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