Möbius Strip (2017)
Musea Parallele
Prendete quattro ragazzi di Sora (FR) poco più che ventenni, Lorenzo Cellupica (piano, organo, tastiere), Nico Fabrizi (sax tenore, sax contralto, flauto), Eros Capoccitti (basso elettrico) e Davide Rufo (batteria), miscelateli a del buon jazz-rock (con spruzzate di progressive rock) ed otterrete i Möbius Strip.
Dopo aver condiviso l’avventura Yellowcake (e aver vinto il contest “Non solo jazz” nel 2011), nel 2014 i quattro mettono in piedi il nuovo progetto Möbius Strip con l’intenzione di esplorare differenti mondi sonori, innanzitutto l’improvvisazione jazz e le strutture del prog. È così che, relativamente in poco tempo, giungono alla realizzazione di Möbius Strip, sei brani scritti da Cellupica e arrangiati dal gruppo.
Il frutto di questa esplorazione è un prodotto che si muove agilmente nel jazz-rock sia di stampo canterburyano sia italiano, dai Soft Machine ai Kaleidon passando per i Blue Morning, per dirla con qualche nome. Ma c’è anche la “mano” di Chick Corea tra le note dei quattro. Suoni limpidi e freschi, una vivacità sempre ben espressa e una tecnica straordinaria emergono in ogni secondo dei sei episodi strumentali che costituiscono Möbius Strip.
E l’elemento brioso, quasi un marchio di fabbrica per la prima prova discografica del gruppo, contraddistingue anche l’artwork creato da Francesco Tersigni e Stregò in cui i nostri sono raffigurati come musicisti-supereroi tra polli forzuti, birilli e il Nastro di Möbius.
L’album si apre con Bloo. L’avvolgente e delicato avvio, nell’economia del particolareggiato quadro, è un tassello fuorviante che viene ben presto sovvertito. Col trascorrere dei secondi, infatti, il brano guadagna in verve ed energia grazie agli innesti frizzanti del piano di Cellupica, le evoluzioni alla Elton Dean di Fabrizi al sax e i multiformi intrecci ritmici. E dopo una “sosta” vellutata il quartetto riparte con maggior intensità riprendendo il fotogramma precedente e variandolo in alcuni dettagli, richiamando alla mente immagini care ai Blue Morning. Da segnalare, tra gli altri, il notevole soliloquio di basso poco oltre i cinque minuti (ottimo il tocco di Capoccitti).
La fresca intro di Déjà Vu, affidata alle agili mani di Cellupica, prende spessore col trascorrere dei secondi grazie agli inserti “a tema” di basso, batteria e sax. Uno stacco, con successiva andatura, alla Bob Callero (periodo Duello Madre) di Capoccitti fa in seguito deviare, in parte, il flusso sonoro del quartetto che, comunque, veleggia ottimamente su piacevoli mari jazz-rock, con il piano di Cellupica che contende lo scettro al sax di Fabrizi, mentre la coppia ritmica, nei bassifondi, ricama ricche trame.
La fluida e vivace First Impressions prosegue il discorso jazz-rock avviato con i brani precedenti. I quattro riescono, anche in questo caso, a confezionare un prodotto di qualità ottimamente orchestrato, in cui ogni elemento dosa al meglio il proprio strumento, sia mettendo in evidenza il proprio tocco sia partecipando attivamente alla costruzione corale dell’episodio. Il sound di Fabrizi in particolare, e del quartetto in generale, lascia emergere un’anima alla John Coltrane avvolta da un’atmosfera che fa molto Jazz Club.
Con Call it a Day i Möbius Strip spezzano per pochi minuti il ripido flusso. Nei circa tre minuti del brano, affidato esclusivamente al piano di Cellupica e al basso di Capoccitti, affiora tutta la vena poetica e intimistica del progetto. Una soffice ballad struggente guidata dai tasti bianchi e neri e arricchita, senza eccedere, dalle corde.
Andalusia. Il titolo del brano è fin troppo esplicito: si va in Spagna (almeno nella prima parte). I primi minuti del brano sono di quanto più spagnoleggiante si possa chiedere, col piano “furente” di Cellupica a fungere da traino. Ecco allora seguire a ruota i dinamicissimi basso e batteria e il sax “torero”. Energia e gioia pervadono le esecuzioni dei quattro ed emergono pienamente anche nella seconda parte, quando si abbandona quasi totalmente il tragitto andaluso per confluire in uno marcatamente jazz, con largo spazio all’improvvisazione.
Möbius Strip chiude l’album. La title-track prosegue e termina il cammino intrapreso dei quattro con un nuovo episodio da cui s’innalza senza limitazioni la fantasia e la tecnica della band. Anche in questo caso, a imbastire il discorso, in superficie troviamo il piano di Cellupica e gli interventi dei fiati di Fabrizi, mentre nelle retrovie svolgono un lavoro eccezionale il duo Rufo/Capoccitti: jazz-rock e sprazzi progressivi che portano alla mente, ad esempio, le gesta di band quali Perigeo e Agorà. E sul finire la band ha tentato di tradurre in musica la geometria del nastro di Möbius, attraverso la ciclicità del tema e degli accordi che occupano l’ultima parte della composizione.
Quattro ragazzi che hanno già bene in mente il proprio percorso, con qualità e abilità certificate dalla Musea Records, una garanzia.
In chiusura una piccola nota sul nome della band: il Nastro di Möbius o Möbius Strip, è una particolare figura topologica non orientabile realizzata congiungendo tra di loro i due lati corti di un’ipotetica striscia, dopo averli fatti ruotare di mezzo giro. Essa ha una sola faccia e un solo bordo e la si può percorrere per intero senza mai attraversare il bordo. Tale figura è stata teorizzata nell’800 dall’astronomo e matematico tedesco August Ferdinand Möbius.
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