Odissea (1973)
Ri-Fi
Il quartetto nato come Pow-Pow agli inizi degli anni ’70, composto da Roberto Zola (voce, chitarre), Ennio Cinguino (piano, organo, mellotron), Alfredo Garone (basso) e Paolo Cerlati (batteria), con l’ingresso, nel 1972, del chitarrista Luigi “Jimmy” Ferrari cambia nome in Odissea e si mette subito in luce partecipando al tour italiano dei Genesis e a quello dei Banco del Mutuo Soccorso.
Questa notorietà porta la band ben presto nell’orbita della Ri-Fi e nel maggio del 1973 viene pubblicato il loro primo e unico album omonimo.
Musicalmente il lavoro è una combinazione di atmosfere melodiche e guizzi progressive apprezzabili, con qualche rimando alle creazioni dei Fruupp. Soprattutto l’opera è improntata sulla voce di Zola il cui timbro, al primo ascolto, colpisce molto per la somiglianza con quello di Alvaro Fella (forse è leggermente meno ruvido del cantante dei Jumbo) e, a tratti, anche con quello di Mauro Pelosi, nei punti in cui quest’ultimo spinge la propria voce. Interessanti sono anche i fraseggi di chitarra e gli slanci alle tastiere di Cinguino.
Il brano d’apertura dell’album è Unione. Dopo i primi secondi di chitarra acustica l’ingresso della vivacissima tastiera di Cinguino ci fa subito intendere di non essere al cospetto di sprovveduti. A seguire l’alternarsi di segmenti tendenzialmente melodici, con la voce felliana di Zola davvero molto espressiva, e altri più rockeggianti, con bei riff di chitarra ben sorretti dal basso, fanno credere che il brano si sviluppi interamente su questi livelli. Niente di più sbagliato. Nella seconda metà del brano la band si scatena. Piano, chitarre, batteria e basso danno vita a poco più di un minuto di prog d’elevato spessore. Ottimo il lavoro di Cinguino (un po’ Gianni Leone) e con esso quello del basso di Garone e della batteria di Cerlati. Nel finale si torna al cantato. Decisamente un ottimo biglietto da visita.
Come nel brano precedente anche in Giochi nuovi, carte nuove c’è un velo melodico e intenso, nei frammenti cantati, con interessanti fraseggi di chitarra in sottofondo mai estremamente “intrusivi”. Intriganti l’assolo di chitarra e l’utilizzo del mellotron presenti nel corso del brano.
Crisalide è l‘unico brano strumentale dell’album. Anche qui ci sono alcuni passaggi interessanti, con cambi di ritmo ed evoluzioni di tastiera e chitarra apprezzabili, ma l’assenza della voce di Zola un po’ si fa sentire.
La struttura di Cuor di rubino ha il sapore di cantautorato, con la chitarra acustica che accompagna Zola, il quale interpreta (e riadatta) una poesia di Jacques Prévert, intitolata appunto Cuor di rubino: Io so dire ti amo / ma amare non so / Del tuo cuor di rubino / che cosa ho fatto mai? / All’amore ho giocato / senza saper giocare / Del tuo cuor di rubino / che cosa ne ho fatto? / Il vetro è spaccato / il negozio tappato / il raso strappato / lo scrigno calpestato / che cosa ho fatto mai? / Io volevo averti / volevo possederti / Giocavo all’amore / ma ho solo barato / Del tuo cuor di rubino / che cosa ne ho fatto / Adesso è troppo tardi / è tutto saccheggiato/ Il vetro è spaccato / il negozio tappato / il raso strappato / lo scrigno calpestato / che cosa ho fatto mai?.
L’avvio molto dolce, quasi un carillon, di Domanda (anche se sarebbe stato più giusto porlo al plurale il titolo), introduce il primo quesito posto da una bambina (la piccola Simona): Senti, io so come sono nata, ma il sole da chi è nato? Zola, sulla stessa dolce melodia, risponde così: Chi crede, prega e spera che sia opera divina / Chi pensa un astro si spezzò e tanti soli ha generato […]. Più avanti una nuova domanda: e la luce?. Ancora Zola: Chi dice “luce è verità” vede lei riflessa in Dio / Chi cerca nuove realtà nella scienza ha il suo messia […]. A metà brano, sempre tenendo come punto fermo il clima dolce, c’è un breve sprazzo leggermente sinfonico, con tastiere e chitarre in evidenza. Alle due risposte precedenti, inoltre, Zola aveva aggiunto “ma giallo è il grano e il mare è blu, / la luce dipinge la vita e noi” e, giustamente, la piccola Simona sul finale si chiede: Ma se tutti questi colori colorano le cose, io che colore ho?. Questa l’ultima risposta del cantante: Chi ha fede o chi ha solo la ragione, la risposta non sa darti. / Colori in te potrai trovare se hai la forza di cercare.
La partenza di Il risveglio di un mattino ha un doppio richiamo a Can-Utility and the Coastliners dei Genesis: il volteggio di organo di Cinguino richiama un po’ quello di Banks presente nella seconda parte del brano della band inglese, mentre il segmento seguente, con voce e chitarra, ricorda l’avvio del brano con Gabriel/Hackett protagonisti (con le dovute proporzioni). A seguire il brano prende una svolta più melodica, con Cerlati, però, che cerca di dare più vivacità.
L’intensità e la drammaticità di Voci è quella tipica di un brano di Mauro Pelosi. Qui, in aggiunta alle atmosfere minimaliste caratteristiche del cantautore romano, troviamo anche un mellotron che accentua tale sensazione. Il brano è inframmezzato da un interessante sprazzo prog, con la tastiera che sembra richiamare quella banksiana del brano precedente.
Anche la finale Conti e Numeri ha una partenza melliflua, con la voce di Zola che sovrasta l’intreccio tra chitarra acustica d’accompagno e chitarra solista molto lieve (in alcuni punti quest’ultima sembra quasi essere floydiana). Vicino ai due minuti il basso risveglia il brano e lancia il solo di chitarra distorto, oltre ad essere ben presente lui stesso. Solo un momento passeggero: si torna presto alle atmosfere iniziali.
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