Perspectives of a Circle – Masks, Faces, Whispers

PERSPECTIVES OF A CIRCLE

Masks, Faces, Whispers (2015)

The Gustibus Records

Ecco un nuovo e interessantissimo esordio giunto dalla capitale: Masks, Faces, Whispers, opera prima dei Perspectives of a Circle.

Dopo vari avvicendamenti all’interno del gruppo e una sorta di “incertezza” sul nome (in pochi anni passano da Winged Hussars a Kingscross, prima di giungere all’attuale), la band si assesta con Lorenzo Politi (chitarre, voce), Lorenzo Corsi (chitarre, flauto, voce), Tommaso Calemme (tastiere, voce), Vittorio Pagano (basso) e Francesco Marchetti (batteria, voce), virando sul più intrigante Perspectives of a Circle.

Giovani ma con le idee musicalmente chiare. Masks, Faces, Whispers mette sul piatto, accanto alle notevoli capacità tecniche e compositive del quintetto, tutto l’amore (e la cultura) che i cinque hanno per il progressive rock. Ogni brano è un microcosmo ricco di sfumature e di numerosi pregevoli dettagli che manifestano delle abilità creative importanti. I cinque ragazzi romani si destreggiano brillantemente tra delicate atmosfere acustiche e “legnate” possenti, sanno essere carezzevoli e intensi per poi colpire senza preavviso, muovendosi tra richiami al prog delle origini e a quello contemporaneo.

Il titolo dell’opera è strettamente legato ai brani contenuti e, oltre a richiamare alcuni dei titoli presenti,  concede una chiave di lettura che porta a leggere l’elenco (apparentemente casuale) dei tre nomi come una visione della personalità, dall’esterno (Mask-Maschere) passando gradualmente (Faces-Facce) verso l’interno (Whispers-Sussurri). Non a caso, molto importanti nell’economia dell’album sono i testi, molto descrittivi e “corposi”, messi in scena spesso con un sapiente uso stratificato delle voci, una via di mezzo tra gli Yes e Steven Wilson.

A completare il tutto ci pensa anche la serie di fotografie (dettagli) piuttosto particolari, scattate da Lorenzo Carulli, che accompagnano ogni pagina del booklet.

One. Note fluttuanti di una chitarra e il morbido recitato di Marchetti (il quale cita, in inglese, parole tratte da “Uno, Nessuno e Centomila” di Luigi Pirandello): ha così inizio il primo affresco sonoro di Masks, Faces, Whispers. E, tenendo ferma, o quasi, questa mite atmosfera, ecco intrecciarsi soavemente le chitarre di Corsi e Politi, e poi giungere, in punta di piedi, il flauto dello stesso Corsi, posto lì a rendere il tutto un po’ tulliano. E ancora, ecco anche Calemme e Pagano nei panni del duo Premoli/Piazza (o Premoli/Djivas, a voi la scelta), prima di finire nelle stratificazioni vocali finali alla Huminoita di “All is Two”.

Con Faces continua il legame Perspectives of a Circle-Pirandello. Nelle parole di Francesco Marchetti s’incontrano il Vitangelo Moscarda di “Uno, Nessuno e Centomila”, con la scoperta della sua “diversità”, e il Mattia Pascal de “Il Fu Mattia Pascal” e la sua necessità di non essere più nessuno, e quindi, tramite una maschera, liberarsi delle immagini di sé negli altri. Il “vestito” creato dal quintetto addosso al testo di Marchetti è fluido e ricco di mutevoli dettagli, continui cambi di stati d’animo ben intersecati tra loro che sembrano racchiudere in poco più di sei minuti le varie anime dell’album “The Snow Goose” dei Camel (o la rilettura italiana dei Magnetic Sound Machine), ma non solo. Davvero tanta roba. Bravi.

Avvio sereno e un po’ beatlesiano per Ego. L’estesa gradevolezza delle avvolgenti armonie vocali e dell’ordito di chitarre è “intaccata”, in un paio d’occasioni, solamente dalla ruvidezza del basso di Pagano, prima dell’apertura ombrosa, vorticosa e wilsoniana finale.

E quando forse, errando, ci si era abituati a veleggiare su placide acque, ecco la deflagrazione, almeno iniziale, di The Maze Of A Mask. Un macigno di circa trenta secondi alla Spettri ci colpisce in pieno volto. Poi l’anima esteriormente “docile” dei Perspectives of a Circle riemerge e, mentre Calemme ci narra di come viene svuotata di significato la ricerca dell’individuo in questo mondo moderno, si svolge, ai “suoi piedi”, un’intricata sequela di tempi irregolari e soavi melodie vocali. A seguire una sorta d’intermezzo jazzato guidato dal duo ritmico, e una breve ripresa dell’intro, spezza in due tronconi l’operato di Calemme e soci precedente. E poi, nella lunga coda finale, emerge tutto l’amore per il prog dei cinque: flauti incantatori, ritmi “anomali”, tastiere policrome e chitarre taglienti, gli anni ’70 che incontrano il decennio successivo, riletti nel nuovo millennio. Uno dei punti più alti dell’album.

Un affondo nel mondo cantautorale con La Scala Che Scende, l’unico brano cantato in italiano (il testo è di Ferruccio Corsi, padre di Lorenzo). L’episodio, plasmato solo da Corsi, Calemme e Politi, privo quindi della sezione ritmica, si sviluppa su toni “melliflui”, col canto espressivo di Corsi sostenuto da lunghi intrecci chitarristici, dai rinforzi vocali dei due compagni e dal leggiadro piano di Calemme.

Whispers. Se l’ascolto di Masks, Faces, Whispers iniziasse dalla traccia numero sei ci troveremmo a “sgomitare” tra Pantera, Slayer e simili, con un grosso punto interrogativo che immediatamente prenderebbe forma nella nostra mente. Ma per fortuna è la traccia numero sei e conosciamo già il modus operandi della band. Ecco allora servita sul “piatto” un’atmosfera scura e tensiva, fatta di squarci fragorosi e ammorbidimenti, sulla scia, un po’ alla lontana, dei The Mars Volta. In questo duro cammino, in cui Corsi ci parla di disturbi mentali e dei famosi sussurri, “Whispers”, che ci dicono cosa fare, trova spazio anche un divertissement jazzato che alza ancor più l’asticella creativa del gruppo.

I prossimi tre brani sono da leggere insieme poiché ispirati al romanzo “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di E. M. Remarque. Nelle parole scritte da Calemme è raccontata la “sublime agonia” dell’uomo mandato in guerra, e il suo isolamento dalla società al ritorno dalla guerra.

Waves Rolling Down The Hills – Part I si apre con un saliscendi emotivo d’impatto: a “mitragliate” prog metal fatte di tastiere zigzaganti, chitarre vigorose e ritmiche determinate, si alternano quei momenti acustici rasserenanti che ben riescono a congegnare i cinque. E poi quel piano nocenziano, posizionato sapientemente a metà brano, a dividere le folate bipartite dei primi minuti dall’infinito assolo di Politi, dona quel tocco romantico che non guasta.

A dividere il precedente brano dalla sua seconda parte c’è il breve intermezzo strumentale No One (Interlude). Drammatico e teso, l’episodio si muove sui dinamici arpeggi di chitarra di Politi e le guizzanti note di Calemme, con i centellinati colpi di Marchetti, posti nei punti giusti, ad accentuare il clima di fondo. Solo nelle battute finali c’è “distensione”.

Waves Rolling Down The Hills – Part II, rispetto a Part I, mantiene la sola anima rasserenante, assimilando, inoltre, dall’intermezzo, quella drammaticità pervasiva che fa del brano uno dei momenti più emozionanti dell’intero album. La fusione “sussurrata” tra chitarra, voce, piano e ritmiche è perfetta, è un leggero manto che avviluppa e riscalda. Sul finire c’è un guizzo più denso e dinamico che non mina quanto fatto prima.

Fallen Bridge/100.000 è il compendio musicale di quanto ascoltato sinora: sezioni cantate acustiche (e non solo) e stratificazioni vocali, repentini mutamenti ritmici e atmosferici, scambi rapidi tra chitarre e batteria, tastiere cangianti, un basso sempre presente e “calzante”, il flauto di Corsi alla Ivano Fossati, tutto cucito addosso alle parole di Marchetti, a quella condizione di colui che è condannato ad un destino che non si è scelto come quella di un prigioniero di un treno diretto ad un ponte caduto, dove è costretto ad osservare dal finestrino l’abisso in cui è destinato a cadere. C’è veramente tutto il mondo dei Perspectives of a Circle. La coda 100.000 riprende l’arpeggio iniziale di One chiudendo il cerchio di Masks, Faces, Whispers.

In chiusura, senza errore, e citando noi stessi, possiamo tranquillamente affermare: idee chiare e capacità notevoli per questo quintetto romano. Davvero un esordio di cui andare fieri (dalla recensione di “Clessidra” dei Locus Amoenus).

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