Illusioni (2017)
Lizard Records
A tre anni di distanza dal primo EP omonimo, tornano i Quarto Vuoto. La band trevigiana, dal 2015 divenuta un quartetto dopo l’uscita di Federico Lorenzon, si ripresenta in una veste tutta nuova, più matura, con il concept album Illusioni.
Due sono le differenze con il passato, fondamentali. Innanzitutto la band è entrata a far parte della grande famiglia Lizard Records (il che può essere solo un bene per la loro crescita), poi l’assenza della voce di Lorenzon che ha lasciato ad Edoardo Ceron (basso), Nicola D’Amico (batteria), Mattia Scomparin (tastiere) e Luca Volonnino (chitarra), e agli ospiti Giulio Dalla Mora (sax tenore in Impasse e Apofis) e Mauro Spinazzè (violino in Tornerò), maggior spazio compositivo ed esecutivo che li ha condotti verso un’opera strumentale carica di atmosfere ricche e stimolanti. È proprio in questo che il quartetto veneto ha compiuto un sostanzioso e sostanziale passo in avanti buttandosi alle spalle i passaggi melodici e a tratti “lineari” che spesso contraddistinguevano le parti cantate del comunque valido EP d’esordio e virando nettamente verso la sperimentazione, le atmosfere kraute, l’elettronica, tutto arricchito da interessanti passaggi post rock. Nelle “nuove” note dei Quarto Vuoto s’incontrano, per poi procedere serenamente insieme, le note teutoniche di Tangerine Dream, Faust, Ash Ra Tempel/Ashra (ma anche quelle non tedesche di Mike Oldfield) e quelle attuali di progetti come God is an Astronaut e Mogwai.
Il concept è racchiuso nel titolo e abbiamo cercato di spiegarlo esclusivamente tramite le sonorità dei brani. Attraverso la nostra musica vogliamo narrare e descrivere la percezione che ha l’uomo della realtà che lo circonda: i nostri affetti, le cose a cui teniamo sono realmente importati nella realizzazione del nostro percorso di vita, o sono semplicemente delle illusioni, appunto, che alla fine della nostra esistenza non portano, cinicamente, a nulla? I sei brani rappresentano differenti fasi della percezione umana: l’innocenza e la fantasia tipica dell’infanzia, la ribellione giovanile, la consapevolezza dell’età adulta, le difficoltà, a volte apparentemente insormontabili, che andiamo ad affrontare, la nostalgia e la saggezza dell’anzianità, fino alla realizzazione del proprio percorso di vita. Ed è solo alla fine di questo percorso che si ottiene la risposta alla domanda di partenza. Non vogliamo provare a dare o suggerire una risposta, sarebbe troppo più grande di noi, ma vogliamo accompagnare l’ascoltatore in una riflessione.
Ad accompagnare Illusioni troviamo il “nero” contenitore fisico che si apre nei colori e nelle immagini particolari e suggestive create da Lorenzo Giol, le quali donano un’ulteriore chiave stimolante per approcciarsi al meglio ai brani dei Quarto Vuoto.
Echi di galassie lontane ci introducono in Nei colori del silenzio, brano che dà il via ad Illusioni: pura “cosmicità” alla Froese & C.. La subentrante chitarra di Volonnino va a diluire ancor più l’atmosfera che assume contorni quasi floydiani, prima del crescendo stratificato e ipnotico edificato dal quartetto completo.
É la verve del duo Ceron/D’Amico ad aprire il primo segmento post di Coscienza sopita. Poi tocca a Volonnino, con il suo tocco alla Marco Marzo degli Accordo dei Contrari, introdurre un tema più ruvido e articolato (è l’intero breve frammento, in realtà, a richiamare la band bolognese). Una “sosta di ricarica” concede lo slancio al quartetto per spiccare il volo toccando ancora territori eclettici alla Accordo. Ottima prova.
Un elemento quasi impalpabile ci accoglie in Impasse: siamo decisamente lontani dal pianeta Terra. Poi si odono i primi segnali “vivi”, i colpi di basso e batteria che crescono col passare dei secondi danno vita ad un’andatura tribale. Anche se calano leggermente i propri giri, i due restano una costante nei minuti seguenti in cui Volonnino e Scomparin gettano e lasciano fiorire un seme rilassante, finché le distorsioni dello stesso Volonnino non irrompono in scena creando, con un gioco di squadra, un frammento che si muove tra Verdena e Mogwai. Data la sua lunghezza, l’episodio si rivela notevolmente composito e sino alla fine offre soluzioni interessanti e ben congegnate.
Come il precedente brano, anche Apofis si presenta multiforme. Primi minuti spinti, con le sferzate di Volonnino e i cambi ritmici del duo Ceron/D’Amico a guidare il tutto. Interessante il contrastante piano di Scomparin nelle retrovie. Dopo un nuovo “sfogo” tribale entra in scena il sax di Dalla Mora e il clima si trasforma lambendo territori alla Blue Morning. Nuovo cambio repentino poco prima di metà percorso con rapidità e “caos controllato” alla Mahavishnu Orchestra. Tutto “rientra” quando la scena viene ceduta interamente al piano di Scomparin, il suo tocco descrittivo alla Riccardo Scivales introduce un nuovo e intrigante elemento nella musica dei Quarto Vuoto.
Si torna in terra teutonica con l’avvio di Due ° Io, passando, in pochi minuti, dai territori rarefatti alla Tangerine Dream ad una nera deflagrazione. E poi ancora kosmische muzik, inizialmente caratterizzata dalle pennellate celesti alla Ashra di “New age of earth” poi dall’elettronica più “viva” e autentica alla Klaus Schulze, prima di volare trascinati da D’Amico. La solida sostruzione ritmica (ottimo il lavoro anche di Ceron) permette a chitarra e tastiere di muoversi liberi e “corposi” realizzando passaggi davvero interessanti.
Si chiude con la malinconica Tornerò. Gli arpeggi un po’ new wave alla Diaframma cedono presto il passo al soave e malinconico violino di Spinazzè. L’andatura compassata di D’Amico è congeniale all’umore del brano, così come l’assolo di Volonnino che prende il posto dello strumento ad arco (anche se, col suo ingresso, le pelli prendono slancio). Nel finale lo stato d’animo assume nuovi colori anche grazie alle celestiali tastiere di Scomparin e al ritorno di Spinazzè.
Il gruppo veneto ha trovato la sua strada ed è la strada giusta.
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