The Hidden Man of the Heart (2018)
Lizard Records
A tre anni di distanza dal pregevole “Lavoro d’amore”, torna il progetto russo Roz Vitalis. Guidati dal solito Ivan Rozmainsky (tastiere), creatore del progetto, l’eclettico ensemble si ripresenta ancora una volta con un lavoro strumentale: The Hidden Man of the Heart, un album fantasmagorico, una piccola Wunderkammer che cela (e svela) una collezione ampia e affascinante di atmosfere multiformi.
Eleganza e forza, lucidità e follia, tanta genialità: i Roz Vitalis non si risparmiano affatto in un lavoro in cui nulla è lasciato al caso, dove il flusso progressivo (termine da leggere nella più ampia accezione possibile) è interrotto in più punti da intermezzi classici che si rivelano quali succose ciliegine su di una gustosissima torta.
Per riuscire in tale ambiziosa impresa, la famiglia Roz Vitalis, che vede, accanto a Rozmainsky, Vladimir Efimov (chitarre), Alexey Gorshkov (tromba, chitarre), Ruslan Kirillov (basso), Vladislav Korotkikh (flauto), Philip Semenov (batteria) e Vladimir Semenov-Tyan-Shansky (chitarre), si arricchisce della presenza degli ospiti Danila Danilov (synth), Yury Khomonenko (percussioni), Mark Makarov (mandolino), Leonid Perevalov (clarinetto) e del quartetto d’archi Les-Quartet diretto Georgy Fyodorov e composto da Long Fam (violino), Valeriya Kondratyeva (violino), Vyacheslav Agabekov (viola) e Sofiya Deynekina (violoncello).
E, come accaduto nel precedente lavoro, a “raffigurare” l’album ci pensa un apparato grafico enigmatico realizzato in quest’occasione da Liza Chekalina.
Dramma e malinconia: è così che i Roz Vitalis ci accolgono nella loro nuova opera. Someone Passed Over è un breve episodio affidato esclusivamente agli archi dei Les-Quartet, un lavoro struggente ed avvolgente che richiama da vicino le atmosfere sacre care a Saint-Preux.
Leggiadra arriva anche Passing Over (LP Version), con piano, chitarra e basso che si aggrovigliano delicatamente e che, dopo uno stacco “zoppicante” (che viene riproposto anche oltre), attraggono tra le loro dolci spire anche il tenue soffio di Korotkikh, tutto utile a descrivere un paesaggio alla Camel di “The Snow Goose”. Balzo netto poco oltre con le pelli di Semenov che trainano gli interventi elettrici e ruvidi di chitarra, mentre il piano di Rozmainsky dà il suo notevole contributo nelle retrovie. E non è tutto perché spazio è concesso a del sano “delirio” R.I.O., un gorgo nero e allucinato, a tratti alla Aksak Maboul, con le trombe magmatiche di Gorshkov protagoniste indiscusse. Negli ultimi minuti si ripiomba sulla terra con una piacevole melodia vivace.
Rhapsody of Refugees. Quando in poco più di un minuto passi da andature briose, orientalizzanti e seventies a “stramberie” di scuola Alamaailman Vasarat, piombando poi in pieno space rock per finire tra le note giocose di Giusto Pio allora vuol dire che dietro al nome Roz Vitalis c’è un gruppo di musicisti eccellenti (ma è solo una conferma). E dopo aver “bissato” quanto sopra si spingono oltre miscelando elettronica, suoni mediterranei, distorsioni metal e una tromba ad “alta frequenza”. Geniali.
Vispa e poetica giunge Blurred, con quell’incedere fresco e quelle pennellate soavi di flauto che si dirigono in territori Malibran, mentre, a seguire, chitarra e tromba trasportano tutto in suolo western e morriconiano.
Tornano i brividi con Trampled By the Lion and Adder, un piccolo gioiellino di musica da camera plasmato dai Les-Quartet.
Si prosegue intensamente con Thou Shalt Tread Upon the Lion and Adder. Corde e tasti costruiscono un notevole tessuto ricco di pathos (e con un pizzico di Latte e Miele) che si apre poco oltre con un tagliente tocco distorto e che piomba poi nella quieta (finta) solitudine delle dita di Rozmainsky (con lui, in superficie, anche il flauto di Korotkikh e il synth di Danilov). Quella che segue è un’ascesa nervosa, cupa, con la chitarra distorta che, quasi ruggendo, da lontano si fa strada e torna prepotente in scena.
La breve Passing On the Line, che sembra richiamare in parte il tema iniziale di Passing Over (LP Version), è tutta nelle mani e nel piano di Rozmainsky e fugge via dolcemente.
È ancora il piano di Rozmainsky il protagonista della seguente Disturbed By Jungle, episodio leggermente più spigoloso e scuro del precedente.
Una strana sensazione d’inquietudine permea l’intera Jungle Waltz: dalle aspre andature di chitarra, basso e batteria (inizialmente arricchite da un interessante soffio andersoniano) ai suoni delle tastiere, dai frammenti folli all’elettronica nera gobliniana, i Roz Vitalis fanno di tutto per non tener celata questa tensione.
Nuovamente tanta emozione nella solennità creata dagli archi di Wounded By the Lion and Adder. L’energia e la poesia commovente che Long Fam, Valeriya Kondratyeva, Vyacheslav Agabekov e Sofiya Deynekina riescono ad esprimere lasciano a tratti senza fiato.
Le sinistre note iniziali di Fret Not Thyself Because of Evildoers provengono direttamente da un film di Dario Argento. A seguire è il solito variopinto flusso sonoro dei Roz Vitalis, tra frammenti ariosi e “scatti d’ira”, progressioni e “allucinazioni”: un piacevole viaggio verso l’ignoto.
Bucolica (e con sensibili richiami ai Celeste) si materializza The Hidden Man of the Heart, con il fluato carezzevole di Korotkikh a fungere da guida. La placida atmosfera prosegue tra le note del piano ed è intaccata solo dalle distorsioni malinconiche, in un quadro che tocca quasi percettibilmente “corde interiori”. Solo in conclusione il passo marziale di Semenov, in compagnia dell’organo ecclesiastico di Rozmainsky e la tromba squillante di Gorshkov, mettono fine al momento di pace.
Some Refugee Passed Over. L’ultimo tassello offerto dal quartetto d’archi è una sorta di summa di quanto ascoltato in precedenza e si sviluppa in due parti ben distinte: la prima poetica e da brividi, la seconda molto vivace e vivaldiana.
Come una scarica adrenalinica giunge la conclusiva Psalm 6 (LP Version), un vortice martellante e caotico che viene stoppato, in seguito, in modo repentino da un nuovo fotogramma drammatico e solenne alla Latte e Miele e che si sviluppa liricamente tra i quieti voli del fiato e gli scambi intensi tra chitarre e mandolino. Pace e dolore, sentimento e rabbia, una convivenza di emozioni e sensazioni contrastanti che permea l’intero album e che trova nell’ultima traccia la giusta parola “Fine” di un lavoro che concettualmente esprime la parte spirituale/creativa di una persona di fronte a scelte difficili e a strane dinamiche. Tale componente può essere chiamata “L’uomo nascosto del cuore”.
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