La calma dei malvagi (2018)
Dimora Records
In risposta all’EP “L’ira dei buoni”, pubblicato nel 2016, ecco giungere la chiusura del cerchio targata Saffir Garland, al secolo Gilberto Ongaro: La calma dei malvagi. Se nel capitolo precedente l’artista attaccava i comportamenti assurdi dell’uomo contemporaneo utilizzando un suono elettropop, con il nuovo album Saffir Garland va ad affrontare diversi temi tabù (dal turismo sessuale infantile alla guerra in Iraq, passando per lo sfruttamento delle miniere in Congo) affiancandoli ad episodi più leggeri e poetici.
L’etichetta che forse più s’addice in quest’occasione alla figura di Saffir Garland è “cantautore satirico prog pop”: è cantautore perché l’impostazione è tale; è satirico perché le sue parole sono taglienti e inducono alla riflessione; è prog perché non poche soluzioni musicali adottate si rifanno a certi canoni; è pop perché la sua proposta riesce ad arrivare a tutti.
Come lasciato chiaramente intendere da questa introduzione, dunque, l’elemento portante dell’album sono i testi. Dalle parole di Ongaro emerge nitidamente una schiettezza e una visione cruda della realtà che sembra provenire direttamente dagli anni ‘60-’70, una sorta di canto di protesta contemporaneo, con quel tocco di ironia intelligente alla Elio e le Storie Tese che non guasta affatto. I suoi testi non sono semplici input superficiali ma veri e propri “inviti ad aprire gli occhi”, lasciano riflettere col sorriso e con la rabbia.
Ne La calma dei malvagi, accanto a Gilberto Ongaro (voce e tastiere), troviamo una nutrita schiera di collaboratori: Barbara Bordin (voce e cori), Maurizio Zanna (voce in Baghdad e Ghirlanda), Bruno Sponchia (voce in Ghirlanda), Matteo Acerbi (batteria), Maurizio Maranto (batteria in Ghirlanda), Leonardo Negrello (basso elettrico e chitarra acustica), Omar Castello (chitarra elettrica e acustica 12 corde), Matteo Brigo (chitarra elettrica in Endimioni), Antonio Ferrari (mandolino), Greta Monalbo (viola), Sophie Liebregts (arpa celtica), Stefano Sadè (flauto traverso), Giovanni La Terza (fisarmonica) e Valerio Vettori (cornamusa irlandese).
Immagina un Paese straricco di risorse / che possa arrangiarsi con tutto ciò che ha / poi arrivan gli stranieri, si portano via tutto / e tu, che ci abitavi, lavorerai per loro. È la voce alla Giorgia di Barbara Bordin ad introdurci in Ti mando in Congo. Poi prende forma una fresca e vivace andatura, con virate tribali, qualche sensazione alla PFM e duetti che ricordano a tratti quelli di Elio/Paola Folli, che funge da “cappotto” alla denuncia dello sfruttamento delle risorse naturali e delle popolazioni in Congo cantata da Saffir Garland. E poi il cantante ci presenta il coltan. Cos’è il coltan? Il coltan è una polverina magica / che fa funzionare la modernità / è causa di tumori in tenera età / perché la estraggono anche i bambini là. / In Congo sono ricchi, ricchi da morire. / Vuoi usare il cellulare? Coltan! / Accendere il computer? Coltan! / Viaggiare in aereo? Coltan! […].
Flaconi, funk demenziale sull’obsolescenza programmata, ovvero sugli oggetti costruiti apposta per rompersi. Strumentalmente molto vivo, con il lavoro di Negrello al basso davvero degno di nota (non sono da meno batteria e tastiere), il brano il lascia ascoltare e lascia, ovviamente, pensare. Vorrei che il mio telefono vivesse più di me / così come il computer, per una vita lieta / Invece produciamo immondizia programmata / per durare poco, e poi diventa obsoleta! / E un altro scatolone di scarti se ne va, / le scaloppine scadono ancora mezze fresche / Non sono Celentano, io non voglio predicare, / ma osservo il panorama e le sue losche tresche […]. Coro surreale finale che fa molto The Residents.
L’esplosione iniziale, in riferimento al primo bombardamento in Iraq da parte degli Stati Uniti avvenuto il 20 marzo 2003, dà il via al reggae di Baghdad, con sfumature alla Daniele Silvestri (vedi soprattutto il canto dell’ospite Maurizio Zanna). Poi il brano decolla grazie alle distorsioni di Castelli e alla cavalcata di Acerbi per deflagrare definitivamente nel segmento finale alla Deep Purple con il bell’inserto di organo suonato da Ongaro. […] Finché arrivò una bomba intelligente / che fa saltare in aria la mia gente. / Mi svegliai di colpo in mezzo a quell’inferno / le sorelle svelte eran già all’esterno / ma il destino di papà si fece scherno / non vivrà più qui, ma ormai nel Sonno Eterno. / Venti giorni dopo io, vivo per miracolo / mi trovo ad assistere ad un epico spettacolo: / stelle e strisce sul faccione di Saddam / e pochi istanti dopo: patapam! / Mi hanno dato libertà / dando fuoco a mio papà! / Mi hanno dato libertà / dando fuoco a mio papà! / Non così finisce questa storia però: / prima o poi vedrete che mi vendicherò!.
Molto blando l’avvio di Metopa, incentrata sulla paura del terrorismo, con il basso “pizzicato” di Negrello a far compagnia alla voce. Poi il brano cresce, s’ispessisce, grazie agli interventi ritmici, del piano, dei fiati e al calore vocale di Saffir Garland. […] Siam cresciuti a pane e fumetti / e perciò desta sospetti / la mitopoiesi di un nemico comune / ma a pensarci bene / è tradizione millenaria raccontar boiate. / Pensa ai bassorilievi / scolpiti nei templi greci / scene di miti e leggende / e il popolo se le beveva; / figuriamoci ora / se non ci cadiamo ancora / come abbandoni un timore collettivo / un altro ben peggiore è pronto già. / Cambiando l’ordine dei fattori il risultato non varia / attendiamo, vivacchiando, il turno di saltare in aria. Il botta e risposta finale richiama da vicino quello di “Iodio” dei Bluvertigo.
Avvio candido e fiabesco alla Celeste per Sofia, con la voce morbida della Bordin che si lascia cullare. Un’aurea “celestiale” (ma anche sanremese, come ammesso dallo stesso Saffir Garland) che pervade tutto il brano. Da evidenziare il bel lavoro svolto dai fiati. Nel brano si parla, in maniera emozionale e non scientifica, della cosiddetta “apertura celestiale”, teorizzata dalla dott.ssa Patricia Kuhl, secondo la quale i neonati, nel primo anno di vita, hanno il cervello capace di apprendere informazioni ad una velocità che poi non raggiungeranno mai, una volta cresciuti e divenuti coscienti. La canzone collega questa innata capacità al desiderio adulto, tipico in ambito esoterico, di raggiungere sophia, la sapienza, la consapevolezza.
Gli archi che aprono Marcella creano una drammaticità che si avvicina a tratti alle magie bacaloviane. Anche la fisarmonica di La Terza e, in seguito, il piano di Ongaro proseguono sulla stessa scia emotiva, con la voce di Barbara Bordin che si muove con intensità toccando, con le sue parole, un tema molto forte: il turismo sessuale infantile. […] Quando quelle ricche bestie europee / ti tolgono vestiti e dignità / li guardi dall’alto, ma non partecipi / e vedi un oggetto, ma non sei tu. / L’agenzia di viaggi / stappa lo champagne / perché il tuo prodotto / fa aumentare il PIL / il target è variegato / sei un’occasione d’oro / potranno allargare / la quota di mercato […]. Sul finire il brano esplode grazie a del sano rock. Per la stesura del brano Ongaro s’è ispirato a “Marcella”, protagonista di un dipinto del 1910 dell’espressionista tedesco E.L. Kirchner.
La strumentale Oro Blu, con i suoi intrecci di archi, piano e flauto è pura poesia che tocca corde alla Roberto Cacciapaglia, tutto condito da piacevoli fotogrammi cinematografici. Brano scritto pensando all’acqua e a quanto essa sarà la causa delle guerre del futuro.
Andatura folkeggiante che trae spunti dalle sonorità di Lingalad o Angelo Branduardi per Ghirlanda, con la chitarra acustica ad indicare la rotta. Azzeccati ed evocativi gli interventi di flauto, viola, fisarmonica e arpa celtica che accompagnano le parole di Ongaro e la triade vocale Ongaro/Bordin/Zanna su quello che si potrebbe definire “odio ancestrale”, metafora delle contrapposizioni ideologiche, religiose, sociali tra popoli che affondano le radici nella notte dei tempi. Molto irish il finale grazie al alla cornamusa “danzante” di Vettori.
Endimioni. Partenza solenne per il commiato de La calma dei malvagi, rielaborazione dell’Apoteosi finale del Balletto della Bella Addormentata di Tchaikovsky, con il solo piano che affianca la voce di Barbara Bordin. Poi uno stacco alla Van Halen dona un’improvvisa verve al brano dando il via ad una massiccia ascesa e al solo elettrico di Brigo. E, come la figura mitologica di Endimione, l’uomo occidentale di oggi dorme con gli occhi aperti fregandosene di quanto gli accade intorno. Il risveglio sarà traumatico…
I malvagi sono calmi poiché si sentono al sicuro, questo mondo è loro.
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