Saint Just (1973)
Harvest
Napoli, come noto, è stata una delle fucine del progressive italiano degli anni ’70. Qui sono nate band del calibro di Balletto di Bronzo, Osanna, Napoli Centrale, Fabio Celi e Gli Infermieri, Cervello, e artisti come Alan Sorrenti e Toni Esposito. In mezzo a questo fiorire uno dei fiori più delicati è senza dubbio il gruppo dei Saint Just.
Nato come trio, formato da Jenny Sorrenti (che si fa chiamare Jane Sorrenti nei primi anni) alla voce, Antonio Verde (chitarra classica e basso) e Robert Fix al sax, si avvalgono di Mario D’Amora (e non D’Amore, come riportato su alcuni siti) al piano ed organo, Toni Esposito alla batteria e Gianni Guarracino alla chitarra elettrica per la registrazione di questo album (il primo della band). Diventeranno un quintetto per il secondo album.
Al disco ha preso parte anche Alan Sorrenti, fratello di Jenny. Nel lavoro di studio si occupa di alcune armonie vocali e canta nel brano Una bambina.
Il sound originale della band, che poi si ritrova anche nell’album, solo ampliato da qualche altro strumento, è tendenzialmente acustico, basato soprattutto sull’uso della voce come strumento aggiuntivo, con un mix di folk e classica, una spolverata di psichedelia e atmosfere a tratti ipnotiche ed evocative. Caratteristico di ogni brano, eccezion fatta per Dolci momenti, sono i vari cambi di rotta presenti nel loro sviluppo.
Brano dalle mille sfaccettature Il fiume inondò (o intitolato anche Quando il fiume inondò). Avvio molto dolce con un leggero arpeggio di chitarra, poi il piano, fa diventare il brano più intenso e un po’ malinconico. Ai due minuti dei cori alla Annexus Quam, per qualche secondo, ci stordiscono e ci fanno pensare al “peggio”, poi, per fortuna, subentra la voce della Sorrenti, in pratica uno strumento in più per la band, con la sua voce molto acuta e armoniosa. Un timido sax fa la sua comparsa, via via diventando sempre più presente, e giocando con i vocalizzi della cantante. A metà durata il brano decolla grazie alle ritmiche “invasate”. Poco avanti una piccola pausa che richiama la partenza, prima del solo di chitarra distorta. Altro cambio poco prima della fine, ritorna il piano dei primi minuti, questa volta accompagnata dalla voce.
La partenza de Il risveglio potrebbe far parte di un brano di Juri Camisasca. Poi, con l’ingresso del piano, la voce si fa molto simile a quella di Antonella Ruggiero. Ciò che segue è un breve intermezzo piano/chitarra da Banco. La seconda metà del brano è aperta da un piano triste che ricalca quello dell’avvio brano precedente. Anche questo brano è mutevole come quello di apertura, infatti, nell’ultimo minuto si torna al punto di partenza.
Un leggerissimo piano che ricorda un carillon (richiama alla mente l’avvio di Hunting song dei Pentangle) e la voce della Sorrenti ci coccolano per i poco più di tre minuti di Dolci momenti. Solo alcuni rintocchi di campana, nel finale, ci ridestano dal sogno.
Una bambina. Pure questo brano è aperto dal piano. I primi secondi richiamano il carillon di Dolci Momenti, poi prima dell’ingresso della voce, ricorda l’intensità di alcuni inserti dei primi due brani. Emozionante questo duetto voce/piano. Come successo in precedenza, anche in questo brano c’è un cambio di rotta abbastanza netto, con l’ingresso di due chitarre che vanno a sostituire i protagonisti precedenti. Poi subentra un ospite d’eccezione: Alan Sorrenti, con la sua voce che ricorda molto quella della sorella, su di un sottofondo “movimentato” alla Aktuala. Ultimi minuti affidati al sax di Fix e alle percussioni, poi a dei vocalizzi della “famiglia” Sorrenti.
Altro brano dalle tante sfumature è Triste poeta di corte. I primi secondi di chitarra e sax creano un’atmosfera rilassante, poi subentra la voce, con le solite intonazioni acute, che duetta col sax. Pausa. Intermezzo strano e quasi “fastidioso” con i suoi suoni pungenti e il basso assillante in sottofondo. Nuovo cambio sui tre minuti e mezzo con piano, batteria e basso, piuttosto intimi che crescono d’intensità col trascorrere dei secondi. Sprazzi di rock.
Anche il brano che chiude il disco, Saint Just, ha un’anima dolce, evidenziata dal canto (questa volta con un testo in francese). Poi diventa quasi un ballabile folk. A metà brano la svolta (ormai ci hanno abituati ai cambiamenti in corso d’opera), con le ritmiche e il piano molto briosi che accompagnano il brano recitato della Sorrenti, prima dei vocalizzi finali, cui partecipano anche il resto dei musicisti.
Una curiosità: il nome della band prende spunto da Louis Antoine de Saint-Just, uno dei personaggi più importanti della rivoluzione francese e tra gli artefici del “Terrore”, ma che finì comunque sulla ghigliottina il 28 luglio 1794.
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