Diamo il benvenuto Maurizio Baldassarri (M.B.), Guido Gressani (G.G.) e Paolo Manfrin (P.M.) dei Paradiso a Basso Prezzo.
M.B.: Grazie a voi!
G.G.: Ed io vi ringrazio per aver considerato il nostro sforzo artistico di quegli anni. Tutto ciò mi sembra un sogno, a distanza di 40 anni suonati c’è gente ancora interessata alla nostra musica!! Uno scenario che, con tutta la fantasia possibile, allora non mi sarei mai immaginato.
P.M.: Grazie a voi per questa opportunità di ricordare i “vecchi tempi”.
Prima di parlare dell’avventura Paradiso a Basso Prezzo, conosciamo meglio i vostri “primi passi”. Come e quando nasce l’amore per la musica e per il vostro rispettivo strumento in particolare? Avete suonato in qualche altro gruppo prima dell’esperienza “progressiva”?
M.B.: Chitarrista da sempre… La prima esperienza in pubblico è stata con i Robins (Pettirossi), ci presentavamo sul palco con una divisa rossa… Era il tempo della musica beat… e si suonavano le canzoni dei Rolling Stones, Yarbirds, Beatles. Era il 1968… Nel 1969 era la volta del complesso i Provos, vincitori dei vari Festival locali… era il periodo della Festa dell’Unità. Il primo vero Super Gruppo nasce nel ‘70 con i Neon finalisti nazionali del “Torneo EuroDavoli”.
G.G.: Ho iniziato a suonare all’età di 14 anni in seguito ad un amore improvviso e viscerale per la batteria. Il primo strumento consisteva in un fusto di Tide (marca americana di detersivo) percosso con bacchette e spazzole autocostruite. Per tanti anni ho studiato da autodidatta le varie tecniche utilizzando i metodi di Gil Cuppini e Pupo De Luca e ascoltando tanti dischi. Più avanti negli anni non ho mai ricevuto vere e proprie lezioni, ma ho avuto il privilegio di conoscere e confrontarmi con i “grandi” da cui rubavo letteralmente il mestiere. Nello stesso periodo, ho avuto modo di studiare anche la chitarra ritmica come strumento complementare. Ricordo con piacere Giulio Capiozzo (Area) che durante i vari festival sparsi per l’Italia mi veniva a cercare per studiare insieme i rudimenti sul rullante. A queste sedute sovente partecipava anche Franz Di Cioccio (PFM), però solo come uditore. Solo qualche anno fa partecipai ad un master di Dave Weckl dove ricevetti dallo stesso conferme sulla tecnica batteristica acquisita. A proposito di altre esperienze musicali prima del PBP, ricordo che il sabato sera passavo il tempo a raggiungere le varie balere disseminate sul territorio regionale con lo scopo di suonare qualche “pezzo”, naturalmente su invito dei musicisti di turno. Fui cofondatore di un gruppo numeroso di giovani studenti liceali: Air Force; si suonava Santana, Jimi Hendrix, Cream… .Gli Argo fu un altro gruppo rock con il quale collaborai per qualche anno.
P.M.: Ho iniziato a suonare il pianoforte come autodidatta: a casa avevamo un vecchio pianoforte perché mio padre, che amava molto la musica, da ragazzo aveva studiato il violino e confidava che almeno uno dei figli studiasse musica. Con il “Paradiso” è stata la mia prima esperienza con un gruppo rock. Quando ho iniziato a suonare con la prima formazione della band, nel luglio del ’72 per un concerto in una discoteca, avevo solo diciassette anni.
Come nascono i Paradiso a Basso Prezzo? Perché la scelta di tale nome e quali sono gli artisti che hanno influenzato le vostre prime note?
M.B.: Il nome Paradiso a Basso Prezzo fu partorito da Paolo Manfrin, era la traduzione italiana di ” Cheap Heaven” un gruppo dell’epoca in cui suonava Paolo… allora era di moda mettere il nome in italiano con tre parole , come per esempio il Banco del Mutuo Soccorso, Quella Vecchia Locand, Premiata Forneria Marconi, ecc. il nome fu indovinato, se lo ricordano ancora adesso.
I miei maestri sono stati Eric Clapton con i Cream… e Jimi Hendrix. In Valle d’Aosta sono stato il primo chitarrista a fare conoscere Hendrix… con “The Wind Cries Mary”, “Hey Joe”, ecc. Quando si suonava “Fire” tutti i chitarristi e i batteristi erano li davanti a vedere come si faceva. In seguito ho studiato le tecniche di Ritchie Blackmore, Jimmy Page, John Mayal e tanti altri quando si trovavano gli LP o i 45 giri.
La prima formazione del PBP nasce nel ‘71 con le varie influenze dei Pink Floyd, Jethro Tull e Genesis, io in particolare di Robert Fripp dei King Crimson. Tra la fine del 1972 e l’inizio del 1973, io e Sergio Cardellina, con la nuova formazione e dopo estenuanti prove per la realizzazione di un concept album, con l ‘ausilio di Osvaldo Cardellina (fratello di Sergio, autore dei testi), componiamo “Pika Don Hiroshima”.
P.M.: Il “Paradiso” nasce all’inizio dell’estate del 1972. Anziché andare al matrimonio di mia sorella, andai a fare la prima prova con quello che sarebbe divenuto il nucleo fondatore del gruppo. Fui io a proporre il nome, traducendo dall’inglese “Chip Heaven” rubando letteralmente il nome ad un altro gruppo valdostano: quanto mi hanno odiato…
Nella prima formazione Guido non c’era. Eravamo in cinque, tre dei quali eravamo i fondatori del gruppo: Maurizio Baldassarri alla chitarra, Dario Cardellina al basso e il sottoscritto all’organo Hammond. Durante l’inverno ’72 arrivò Guido, che fui io a proporre e chiamare. Giungemmo alla formazione definitiva nella primavera del ’73, quando si aggiunse Ugo Wuillermin alla voce, tastiere e flauto.
In quel periodo, uno dei miei idoli era Keith Emerson (recentemente scomparso), non tanto per il genere ma per la tecnica strumentale. Non saprei individuare delle influenze precise, in quanto i brani erano una sintesi di vari stili. Nel mio brano “Ai raggi del sole morente”, la mia prima composizione, c’era una linea melodica di impronta classica che cambiava continuamente tonalità, mentre nel mio modo di cantare cercavo di imitare Peter Hammill dei Van der Graaf Generator.
Guido, dalle notizie in circolazione sappiamo che il tuo ingresso nel gruppo avviene poco dopo la sua formazione. Come sei entrato in contatto con Baldassarri & Co.? E come mai c’è stato l’avvicendamento con Corrado Pivot?
G.G.: A quell’epoca stavo suonando con un’altra formazione (Gli Argo) e le mie capacità tecniche erano in crescendo per cui godevo anche di una certa notorietà in Valle d’Aosta. Ricordo che mi fu proposta “la cosa” da Maurizio Baldassarri che già conoscevo. L’inserimento nel gruppo per me non fu un problema, si suonava la musica del momento ed i gruppi importanti di riferimento erano tanti. Bastava la voglia d’imparare. Non ho mai saputo il perché della defezione ad un certo punto di Corrado Pivot. Si parlava di voler mettere in piedi un super gruppo valdostano e di conseguenza si cercavano elementi validi sia dal punto di vista umano sia musicale; penso che mi abbiano proposto il ruolo perché davo loro fiducia in entrambi i sensi. Con Paolo, già componente del gruppo, abbiamo legato subito per affinità caratteriali e di gusti musicali.
P.M.: La presenza di Corrado Pivot era temporanea, in attesa che il batterista designato terminasse il servizio militare; una volta tornato in abiti civili ci sarebbe stato il passaggio di consegne. L’avvicendamento però non ci fu in quanto Alvin, questo era il soprannome del batterista, per una serie di circostanze venne alle prove una sola volta.
Ben presto entrate nel “giro” dei grandi Festival, quali quello d’Avanguardia e Nuove Tendenze di Napoli o quello di Civitanova Marche. È stato difficile “uscire” dalla natia Valle d’Aosta e rientrare in questi circuiti? Come ricordate queste esperienze?
M.B.: Non abbiamo avuto difficoltà a uscire dalla Valle D’Aosta avendo avuto esperienze con i gruppi precedenti in concertini nel Nord Italia. Ma suonare davanti a migliaia di persone dei festival sono emozioni che non si dimenticano. Nel giro dei festival siamo entrati attraverso Franco Gigante, un giornalista di nostra conoscenza che a sua volta conosceva Massimo Bernardi, organizzatore del Festival d’Avanguardia. Ci ha proposto a lui e diventammo uno dei i 12 gruppi sconosciuti che vi parteciparono.
G.G.: L’obiettivo consisteva proprio nel voler portare questo progetto musicale alla ribalta nazionale. Quindi, ci siamo messi di buona lena a calcar le scene dei maggiori festival sulla piazza. Un nostro amico giornalista di Ciao 2001, Franco Gigante, si occupò di farci entrare nel giro “giusto” procurandoci le occasioni di confronto musicale. In quei contesti era facile fare amicizia con personaggi che sarebbero poi diventati famosi; mi sovviene Eugenio Finardi, Franco Battiato… Con altri personaggi si instaurò una bella amicizia e quello fu il pretesto per imparare il mestiere; per esempio Alberto Radius (Il Volo), Giulio Capiozzo (Area), Franz Di Coccio (PFM), Tullio Granatello (Jumbo), Gianni Dell’Aglio (Il Volo).
P.M.: Entrare in questi circuiti non fu affatto semplice, anzi! In questo fu determinante l’aiuto di Franco Gigante, un amico che se ci sta leggendo, colgo l’occasione di salutare. La partecipazione al Festival d’Avanguardia e Nuove Tendenze ci aprì la porta a gli altri festival. Ricordo quel periodo come denso di avvenimenti. Il primo concerto ufficiale del gruppo nella discoteca Arc-en-ciel di Saint Vincent, a Pasqua del ’73, seguito dalla partecipazione ai Festival di Napoli. Di questo festival ricordo la presenza di un giovanissimo Francesco De Gregori che presentava “Alice”, insieme ad un altrettanto giovane Riccardo Cocciante. E poi Alan Sorrenti “prima maniera”, quello di “Aria” e “Vorrei incontrarti”. In luglio il festival di Civitanova Marche e poi a settembre il grande concerto ad Aosta, dopo le avventure estive, con la sala della discoteca del Moog’s Club gremita di pubblico.
In questi anni nascono anche i brani che avrebbero dovuto far parte del vostro primo album “Pika Don Hiroshima”. Qual era il significato del titolo? Esiste qualche registrazione in studio dei brani?
M.B.: “Pika Don Hiroshima” si traduce in “Lampo e Tuono a Hiroshima”.
G.G.: Letteralmente il titolo significa: “Lampo e tuono a Hiroshima”. L’opera era ispirata dai canti “Le spleen de Paris” di Charles Baudelaire e “Les chants de Maldoror” di Isidore Ducasse. Non esistono registrazioni ufficiali dei brani ed è un vero peccato. L’unica registrazione live, raccolta nel CD, non rende giustizia alla musica perché è penalizzata dall’audio pessimo.
P.M.: Il titolo significa “Lampo e tuono a Hiroshima” e fa riferimento al grido dei sopravissuti all’esplosione della bomba atomica, lanciata nell’agosto del 1945. Si trattava di una lunga suite composta di vari episodi. Non abbiamo registrazioni in studio ma fortunatamente il fratello del bassista registrò il concerto che tenemmo alla discoteca Arc-en-ciel di Saint-Vincent, il 26 dicembre ’73, registrazione che venne poi utilizzata per il nostro unico CD, pubblicato nel 1992.
Ancora su “Pika Don Hiroshima”: c’era già qualche accordo con l’eventuale etichetta che avrebbe dovuto pubblicare il lavoro? E perché l’album non uscì mai?
M.B.: I pezzi erano piaciuti… sempre grazie a Franco Gigante, erano stati ascoltati dalla casa discografica Numero Uno (presente all’ascolto anche Franco Battiato). Ci avevano chiesto dei demo, ma non li abbiamo mai mandati, anche perché in quel momento i componenti della band iniziavano a prendere strade diverse.
G.G.: Ricordo che dovevamo fare un provino alla Numero Uno di Lucio Battisti, poi per incomprensioni e dissapori interni non se ne fece nulla.
P.M.: Da quello che ricordo, avevamo avuto dei contatti con vari discografici che però non approdarono a nulla.
Come mai finì il vostro cammino?
M.B.: Il nostro percorso musicale finì come quasi tutti i gruppi di allora, andarono avanti i cantautori Bennato, Battiato, Finardi e De Gregori e tutti gli altri mentre per i gruppi iniziò un rapidissimo declino. Così nel febbraio ‘74 per il Paradiso a Basso Prezzo fu l’ultimo concerto al Teatro Splendor di Aosta che vide esibirsi con noi Claudio Rocchi, Latte e Miele e Jumbo, peccato che anche in quella occasione non registrammo nulla. Avevamo composto un nuovo pezzo alla King Crimson “Gente Che Corre”. Al declino del PBP seguì il ritorno di Gianni Bruna con il quale nasce un nuovo gruppo, La Soluzione, che a tutti gli effetti era la soluzione dei nostri problemi finanziari. Il gruppo andò avanti fino all’ estate ‘75 suonando musica commerciale nelle sale da ballo.
G.G.: Nell’anno 1974 il movimento progressivo stava attraversando una fase discendente; si trattava di scegliere il nuovo orientamento musicale e trasferire su vinile i nostri progetti musicali. A quel punto prese il sopravvento un po’ di stanca e di sfiducia da parte di tutti i componenti. In particolare, stavo studiando architettura all’università di Torino e gli impegni scolastici non mancavano. Anche i nostri interessi non erano più gli stessi; stavo ascoltando molto jazz e il nuovo genere jazz rock mi faceva letteralmente impazzire: finalmente mi potevo muovere all’interno di schemi jazzistici, ma anche rockettari. Ci lasciammo dopo aver tentato invano di far sopravvivere il gruppo suonando musica da ballo nelle discoteche.
P.M.: Il 1973 si concluse con una tournèe in Puglia insieme al gruppo italo-inglese The Trip, organizzata dall’amico Franco Gigante. A febbraio del ’74 organizzammo un Festival Pop ad Aosta con la partecipazione di Claudio Rocchi, dei Jumbo e la nostra. Poi un altro importante Concerto ad Aosta al Moog’s Club e in maggio al cinema Ideal di Verrès (in Valle d’Aosta), poi partecipammo al festival di Carpineto Romano e al Festival di Re Nudo al Parco Lambro, con la crema del Rock italiano. Non ricordo in quale di queste occasioni, l’organizzazione mi chiese in prestito il mio Hammond per il cantante degli Area, Demetrio Stratos: che onore!!! In autunno, per pagare i debiti contratti per acquistare gli strumenti, la formazione cambiò nome in La Soluzione e poi la fine del sogno. Io volevo fare il musicista e avevo capito che quella strada difficilmente mi avrebbe portato a qualcosa. L’anno seguente iniziai gli studi accademici per poi intraprendere una direzione completamente nuova.
Ci sono ricordi e/o aneddoti di quegli anni che vi va di condividere? Com’è stato fare da spalla, in tournèe, ad un gruppo come i The Trip?
M.B.: L’estate ‘73 fu un momento di massimo fulgore con i concerti dei vari Festival e la pubblicità sui settimanali di musica (Ciao 2001, Super Sound, Giovani). Tornammo ad Aosta carichi più che mai. Così il 26 settembre suonammo al Moogs Club, che era strapieno e la gente era in visibilio.
Il minitour in Puglia da spalla ai The Trip si svolse dal 8 al 14 dicembre del ‘73. Una settimana INDIMENTICABILE. Ricordo con emozione il contatto con altri grandi della musica, quando si facevano le prove sul palco. Ricordo Gressani che faceva a gara con Franz Di Cioccio della PFM (rullando insieme con le bacchette nello stesso rullante). Ricordo Bennato che a Napoli prima del concerto mise la chitarra nel nostro furgone. Ma le amicizie più grandi sono nate in tournée con i The Trip.
G.G.: Tutto ciò accadeva nel 1973, dicembre credo. Ricordo che in quel periodo insegnavo come supplente presso l’Istituto Tecnico per Geometri di Aosta, per cui dovetti scendere fino in Puglia in aereo per raggiungere i miei compagni che mi avevano preceduto di qualche giorno in pulmino. Il tour è stato molto istruttivo sia sul piano professionale sia su quello logistico; ho avuto modo di comprendere il meccanismo faticoso dei concerti ed il piacere di essere trattato da “Star” dai ragazzini. Gli stessi componenti dei The Trip, cioè Furio Chirico, Joe Vescovi e Arvid Andersen, furono carini nei nostri confronti ad insegnarci i trucchi del mestiere.
P.M.: Che avventura la tournée pugliese. Guido, che, mentre frequentava l’Università, faceva delle supplenze nelle scuole aostane, poteva contare su uno stipendio e quindi arrivò e ripartì dalla Puglia in aereo: beato lui. Il mio arrivo fu in treno, dopo una lunga notte di viaggio; ma fu il ritorno la vera “avventura”. Era il periodo dell’Austerity, del risparmio energetico in cui alla mezzanotte del sabato tutte le auto si dovevano fermare. Per fare rifornimento di carburante, alle pompe di benzina c’erano code interminabili. Dopo il concerto di Martina Franca, il venerdì sera, al Bi-Blu-Ar (Bianco, Blu e Arancione), dopo aver caricato il furgone ci siamo messi in viaggio in sei: tre nella cabina da due posti e tre nel cassone sopra gli strumenti a patire il freddo e la fame…. fu una vera Odissea, ma che bello raccontarlo oggi! Mio padre, per ogni evenienza, mi diede settantamila lire, somma con la quale pagammo il gasolio e qualche panino. Mia moglie è di Bari e al tempo del Tour era una bambina di 5 anni (io ne avevo 18 anni): quando glielo ho raccontato si è fatta un sacco di risate.
Una volta terminato il progetto Paradiso a Basso Prezzo, che percorso intraprende Maurizio Baldassarri? Ti va di parlare di GB5, Senso Unico e di The Fuzsion (progetto in cui milita tuo figlio Fabio)?
M.B.: Finita l’esperienza progressive PBP, con Gressani, Manfrin e Wuillermin ci siamo ritrovati qualche anno dopo in uno studio di registrazione semi professionale di Guido (ci sono delle registrazioni). Poi ognuno per la propria strada artistico/musicale. I GB5 era un gruppo locale che suonava musica da ballo, cercavano un chitarrista-cantante e accettai subito… mi ero appena sposato e avevo bisogno di soldi, facevamo anche ballo liscio. Con la mia entrata, nel giro di pochi mesi il repertorio dei GB5 si modificò… eravamo i Pooh Valdostani. Si suonava 3/4 volte alla settimana anche nella vicina Francia e Svizzera con, all’attivo, il 45 giri di “Si l’Amour Existe Encore” che fu Disco Bianco a Radio Mont Blanc… Anche “Marad”, il retro del 45 giri, aveva avuto un discreto successo… (con il PBP era l’introduzione dell’assolo di batteria di Gressani). I GB5 durarono sette anni dopodiché crisi matrimoniale… Stufi di guadagnare si ritorna a fare debiti con i Freon, una band carica di rock con le cover dei Deep Purple.
Senso Unico, una bella band di cinque musicisti (ex componenti dei Freon) + due coriste… suonavamo di tutto! Avevamo anche un repertorio di nostra composizione, era una miscela di musica rock cantato in italiano. Cosi, a Torino, in uno studio di registrazione Minirec, in meno di una settimana registrammo nove pezzi, e nacque un compact disk “Hai visto che…”. Nello stesso periodo un nostro amico DJ, senza dirci niente, manda un demo al concorso “Winner Algida” e venimmo selezionati con votazioni degli ascoltatori di radio DeeJay e altre radio private. Su 1800 tra cantanti e gruppi entrammo tra i 14 finalisti e ci ritrovammo alla finale al Covo di Nord Est di Santa Margherita Ligure. Era il 26 maggio 1994. Premio una compilation della CGD dei 14 finalisti. Il CD ” Winner Parade ’94 ” si trova ancora in vendita a 29 €.
Con mio figlio Fabio Baldassarri (ottimo chitarrista) ho suonato soltanto in due occasioni: la prima volta il 25 aprile 2009 al teatro Giacosa di Aosta con The Fuszion, una Jam Live con musica sperimentale con idee Paradisiane, la seconda volta al festival rock Aosta Sound Fest nel giugno 2011. Si dovevano suonare delle cover di gruppi degli anni ‘70 così abbiamo riproposto i pezzi dei Cream di Eric Clapton. Il nome del gruppo in quella occasione diventò Fuszion Cream.
Guido, dopo l’esperienza con i Paradiso a Basso Prezzo, la tua carriera è stata, ed è tuttora, piuttosto intensa e “policroma”: registrazioni della RAI con Louis De Jarriot e Maura Susanna, esperienze cabarettistiche con il gruppo dei Tristallegra, l’incontro con il jazz e la fusion, la collaborazione con il gruppo Eufonia, quella con il pianista caraibico Sonny Taylor, e poi ancora con Flavio Boltro, Danilo Pala e Deirdre Cozier, la nascita del Guido Gressani Quintet, la realizzazione degli album “Coccobello”, “Fusion Black”, “Faces” e “Terra di confine”. Ti va di descrivere questi anni?
G.G.: Dopo lo scioglimento del PBP, ricordo che provai quasi un senso di liberazione allontanandomi da quel mondo diventato troppo chiassoso per me. In quel periodo mi appassionai di sci e mi abilitai come maestro. Ben presto la musica tornò preponderante in me ed iniziai un intenso periodo di collaborazioni difformi. Ero attratto da qualsiasi manifestazione musicale: sagre popolari, concerti rock, cabaret e soprattutto musica jazz. Con il passare del tempo affinai la mia sensibilità e anche il mio obiettivo. A quel punto mi dedicai al mondo del jazz, inteso più come linguaggio espressivo che come genere confinato in uno stile ben preciso. Collaborai con importanti artisti dai quali appresi sensibilità e mestiere, mi ricordo: Sonny Taylor che abitualmente si esibiva con Billy Cobham, Deirdre Cozier conosciuta a livello internazionale come Dee D. Jackson, Flavio Boltro…. Ad un certo punto sentii la necessità di suonare musica da me composta e così iniziai ad incidere “Coccobello”, poi seguito da “Faces” ed in ultimo da “Terra di Confine”. Nell’ascolto dei tre CD si percepisce il percorso fatto come compositore e musicista alla ricerca perenne di linguaggi nuovi in coerenza con il proprio bagaglio del passato.
Curiosando sul tuo sito abbiamo letto delle tue varie “nature”: Batterista, Compositore, Architetto, Maestro di Sci e di Batteria. Come hai fatto a conciliare tutti i tuoi “io” in questi anni?
G.G.: Non è stato difficile dal momento che tutto ciò fa parte del mio carattere: mi piace ritagliare degli spazi durante la giornata dove posso dedicarmi ai miei hobbies. Certo ci va un minimo di organizzazione per non penalizzare troppo le altre attività. Per esempio ho l’abitudine di suonare tutti i giorni dalle 18,00 alle 20,00 dopo aver lavorato nel mio studio come architetto. Ciò mi consente di mantenere un buon livello esecutivo sullo strumento. Le altre attività, come per esempio il maestro di sci, solitamente vengono esercitate tra il sabato e la domenica.
Paolo, la tua carriera artistica successiva ai Paradiso a Basso Prezzo s’è indirizzata, negli anni, soprattutto verso la sfera compositiva. Ti va di raccontare il tuo percorso di studi, creazioni e collaborazioni?
P.M.: Dopo il Diploma in Conservatorio sono approdato alla Musica Classica Contemporanea, perfezionandomi con il compositore veronese Franco Donatoni, che ha impresso una svolta decisiva alla mia scrittura e alla mia attività artistica. A partire dalla fine degli anni ’80 ho vinto alcuni Concorsi di Composizione ed ho iniziato a collaborare con importanti istituzioni italiane e straniere quali, Orchestra Sinfonica Siciliana, Orchestra Sinfonica di Sanremo, Ex Novo Ensemble, Ensemble Orchestral Contemporain, Ars Cantica Choir, Res Nova Duo e molti altri. Dal 1982 insegno presso l’Istituto Musicale di Aosta, dove dal 1990 sono titolare della cattedra di Composizione.
I Paradiso a Basso Prezzo “tornano in auge” nel 1992, quando la Mellow Records recupera una vostra registrazione live del 1973 e la pubblica nell’album “Paradiso a Basso Prezzo”. Chi è l’artefice di quest’operazione? E com’è stata accolta dal pubblico? C’è per caso ancora qualche altro nastro “nascosto”?
G.G.: La Mellow Records esce con la pubblicazione di una linea di Rock Progressivo Italiano. Risalgono a noi grazie alla registrazione di un fan che fece loro recapitare la cassetta di un nostro concerto live. La musica contenuta nel CD venne poi sostituita con la registrazione del concerto all’ Arc-en-ciel di St. Vincent (Aosta) perché il risultato era più soddisfacente e ascoltabile. Mi risulta che il CD sia stato distribuito in Giappone, dove è tutt’ora in vendita, ed in Sud America. Quindi, dal momento che eravamo inattivi da più di 20 anni, ottenemmo il massimo risultato con poco sforzo.
A proposito di nastri del PBP, di recente ho ritrovato una cassetta C60 del 1974 in cui sono registrati due brani che denotano chiaramente la nuova linea musicale che avremmo intrapreso se fosse andata diversamente. Le musiche contenute richiamano un po’ la Mahavishnu Orchestra per le ritmiche e gli assoli di chitarra e tastiere. I brani non sono volutamente cantati. In una seconda cassetta del 1980, in occasione di una nostra reunion, venne registrato nel mio piccolo studio privato un brano sullo stile del gruppo del Perigeo; anche in questo caso non cantato. In quest’ultima registrazione, dei componenti originali manca solo Dario Cardellina al basso, sostituito da Maurizio Baldassari.
P.M.: Nel luglio del ’92 mi telefonò Ciro Perrino, uno dei due responsabili della Mellow Records. Confesso che subito ero un po’ prevenuto in quanto pensavo si trattasse di qualche venditore di illusioni: poi mi sono ricreduto. Mi raccontò di aver cercato il mio cognome sulla guida telefonica di Aosta a seguito di una segnalazione avuta da un fan del “Paradiso” che ci aveva ascoltato e registrato nel nostro concerto di Martina Franca, durante il tour del ‘73. Il nastro, però, era di pessima qualità. Ciro Perrino mi chiese se avevamo dell’altro materiale. Iniziò quindi una ricerca spasmodica di nastri, foto e quant’altro per giungere poi alla pubblicazione del nostro CD, vent’anni dopo la nascita del gruppo: che storia!!!
C’erano altre registrazioni di brani, frammenti di concerti e prove che avevamo fatto successivamente a “Pika Don Hiroshima”, ma chissà dov’è finito questo materiale.
Tornando a Guido e Paolo, le vostre strade si sono incrociate nuovamente negli album “Faces” e “Terra di confine” del Guido Gressani Quintet. Come nascono queste collaborazioni?
G.G.: Con Paolo Manfrin c’è sempre stata affinità sia sul piano musicale sia umano. Non è stato difficile coinvolgerlo nei progetti di “Faces” e “Terra di Confine” dal momento che lui, nel corso degli anni, ha acquisito le competenze e le conoscenze musicali per poter arrangiare i brani da me proposti. Il risultato finale sorprende anche me perché la sua penna va a colmare i miei vuoti musicali. Alla fine il risultato è veramente frutto di una collaborazione condivisa e non casuale.
P.M.: Già dai tempi del “Paradiso” con Guido c’era una forte amicizia che negli anni è sempre rimasta viva. Guido ha sempre avuto un grande interesse per il jazz, in particolare per il funky, oltre ad avere una vena creativa che lo portato a creare varie cellule musicali e melodie. Nel gennaio del 1980, a casa sua, registrammo il suo brano “Nightingale’s Song” e nel 2003 mi chiese se potevo scrivergli un brano in stile jazz: e così nacque il mio “Velluto Blu”, registrato poi nel CD “Faces”. Sull’onda di questo brano mi chiese di sviluppare e arrangiare tutti brani di quel CD e poi i brani per “Terra di Confine”.
Guido, ti va di presentarci l’attività del Guido Gressani Quintet e l’anima dei due lavori appena menzionati?
G.G.: Come ho già detto, il linguaggio espressivo va modificandosi nel tempo, occorre però dedizione nello studiare musica e nel comporre. Sicuramente i due CD fatti in collaborazione con Paolo Manfrin denotano tutto ciò e le conferme ricevute da recensioni di livello nazionale mi danno la forza di andare avanti. Proprio in questi giorni sto progettando insieme a Paolo un nuovo lavoro musicale in cui la componente orchestrale è intesa più allargata e nutrita dei suoi componenti. Quindi si parla di una formazione composta da sei fiati, una tastiera, un basso, una batteria ed un vibrafono/percussioni. Questa nuova forma di linguaggio mi permette di esprimermi più compiutamente; probabilmente ne uscirà un nuovo CD.
Non c’è mai stata la possibilità di una reunion della band? E in futuro dobbiamo aspettarci qualcosa sul fronte Paradiso a Basso Prezzo?
M.B.: No, non credo che ci sarà una reunion del Paradiso anche se sono in molti a credere in un ritorno. Tanti organizzatori di festival mi hanno richiesto di suonare con una band e riproporre i brani di allora… chissà nel 2016.. .con mio figlio!
G.G.: Come ho detto precedentemente nei primi mesi del 1980 si è riunita la band nel mio piccolo studio di registrazione, da cui è nato un brano d’impronta jazzistica. Non escludo a priori eventuali nuove collaborazioni. A quanto pare, a giudicare dai festival dedicati, il Rock Progressivo sta vivendo una nuova giovinezza e se si creano i presupposti affinché il PBP torni in auge. In effetti, sarei disponibile a condividere con i miei compagni di viaggio una nuova avventura.
P.M.: Personalmente mi sento lontanissimo da quella esperienza, anche se lo ricordo sempre con molto piacere.
Grazie per l’estrema disponibilità e per la piacevole chiacchierata!
M.B.: Complimenti e un grazie per l’intervista.
G.G.: Un grosso ringraziamento per l’interessamento e per la ventata di energia nostalgica che mi hai fatto rivivere. In fondo, ci si riferisce a più di 40 anni fa!!!!!
P.M.: È bello tenere vivo il ricordo di quegli anni pieni di fermento, non per nostalgia ma per amore della musica di quel periodo. Un caro saluto e un grandissimo grazie.
(Maggio 2016)
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