Diamo il benvenuto a Edoardo Ceron (E.C.), Nicola D’Amico (N.D’A.), Mattia Scomparin (M.S.) e Luca Volonnino (L.V.): Quarto Vuoto.
E.C.: Ciao a tutti voi! È un vero piacere raccogliere il vostro invito!
N.D’A.: Ciao a tutti! Abbiamo accolto l’invito con piacere! Grazie a voi per averci invitato!
M.S.: Un saluto a tutti, siamo noi a ringraziarvi di cuore per questa bellissima opportunità!
L.V.: Grazie a voi per lo spazio dedicatoci e un caro saluto a tutti i lettori!
Diamo il via alla nostra chiacchierata con un classico: come nasce il progetto Quarto Vuoto? E perché la scelta di tale nome che si rifà al Rub’ al-Khali, il secondo più grande deserto del pianeta?
E.C.: Personalmente ho conosciuto il gruppo per puro caso, avevo intrapreso da pochi mesi la strada del musicista e non pensavo di trovare subito qualcuno che condividesse la mia passione. Dopo qualche settimana di prova sono rimasto in pianta stabile con loro. Suonavamo tutto quello che ci piaceva e ci esaltava. Col passare degli anni e con l’arrivo di Federico abbiamo deciso di provare qualcosa di nuovo, abbiamo provato a comporre brani nostri mettendoci tutto l’entusiasmo che avevamo. Ricordo con molto affetto le primissime canzoni composte e sicuramente rimarranno parte della storia di questo gruppo. Successivamente abbiamo deciso di prendere il nome di Quarto Vuoto e di intraprendere questa strada di musica originale.
N.D’A.: La mia esperienza col progetto Quarto Vuoto è iniziata circa nel 2012, quando il mio caro amico Davide Veronese, allora batterista del gruppo, mi chiese se fossi interessato a sostituirlo nel progetto, in quanto lui aveva deciso di trasferirsi a Pisa per motivi di studio. Accettai di mettermi in gioco con piacere perché conoscevo già il loro gruppo, avevo avuto occasione di sentirli suonare dal vivo e mi erano piaciuti molto! Poi sapevo anche quanto Davide ci tenesse al progetto, quindi il fatto che avesse pensato a me come sostituto mi aveva lusingato molto. La decisione fu di gruppo ovviamente e superate alcune prove diventai ufficialmente parte del progetto Quarto Vuoto.
M.S.: Ci è voluto del tempo perché la nostra band acquisisse nome e consapevolezza della propria identità. Ma finalmente nel 2010 Federico propose “Quarto Vuoto“: la nostra musica doveva essere riscatto, la forza della vita che si confronta con la terribile vastità del deserto Rub’ al-Khali. È infatti tradizione del luogo ritenere che il deserto permetta a chi lo attraversa di trovarsi solo di fronte ai propri limiti. È solamente riconoscendosi in quest’ultimi che l’individuo può rivalutare sé stesso ed estendere la propria consapevolezza alla realtà da cui ha sentito la necessità di estraniarsi. Perché la musica non può fare la stessa cosa? CI dovevamo provare assolutamente!
L.V.: Il gruppo nasce in maniera abbastanza casuale… Mattia e io abbiamo cominciato a suonare assieme circa 9 anni fa, senza alcuna pretesa e con il nostro ex batterista, Davide. Pochi mesi dopo è invece arrivato Edoardo. Inizialmente, come molti gruppi di ragazzi della scuola superiore, suonavamo cover di ogni genere e solo dopo 2/3 anni abbiamo cominciato a comporre i primi brani originali: è in quel periodo, con la svolta alla musica originale, che siamo diventati i Quarto Vuoto, dandoci un nome e un’identità.
Nonostante la giovanissima età, nella “bacheca” dei Quarto Vuoto ci sono già due lavori pubblicati. Quali sono gli studi, gli ascolti e le influenze che hanno contribuito alla creazione del vostro sound?
E.C.: Per molti anni sono rimasto affascinato dal mondo della musica, mio cugino (batterista degli attuali Riverweed) mi ha avvicinato molto finché all’età di 17 anni mi ha convinto ad iniziare gli studi. Ho scelto subito di studiare basso elettrico, non saprei dire il perché ma sostanzialmente mi ha sempre affascinato più di qualunque altro strumento! Mi sono iscritto alla scuola di musica Tartini di Meolo dove ho conosciuto il mio primo insegnante di basso Francesco Calabrò che mi ha guidato attraverso i miei primi 5 anni sullo strumento. Successivamente ho conosciuto e preso lezioni da Marco Trabucco, un giovane contrabbassista in ascesa nella musica jazz italiana. Queste due figure mi hanno aiutato molto a crescere e conoscere meglio la musica e lo strumento, ad avere i mezzi e le conoscenze per esprimere me stesso. Per quanto riguarda invece la musica che mi ha influenzato sicuramente devo citare i classici del rock e del prog che ho sempre adorato, ma rimanendo molto aperto a tantissimi altri generi. Infatti il mio gruppo preferito sono i Gorillaz!
N.D’A.: Mi appassionai alla batteria intorno alla terza media, e non parlo di birre ma di scuola. Tutta la mia famiglia suona o ha suonato in passato, nessuno escluso, ma io non avevo mai dato segni di interesse in quell’ambito. Finché durante le medie feci una gita scolastica che mi portò in Francia. Durante il viaggio che fu di 8 ore effettuato per mezzo di un autobus noleggiato, avevamo tantissimo tempo libero e facemmo una scorpacciata di concerti guardandoli attraverso un lettore dvd portatile, portato (scusate il gioco di parole) da un mio amico di allora. Fu lì che decisi che la mia strada sarebbe stata quella. Tornato a casa montai la batteria di mio padre e mi iscrissi alla scuola di musica del paese dove abitavo. Da lì qualche anno dopo entrai nel Conservatorio di Padova, iscrivendomi a Batteria e Percussioni Jazz. Percorso ormai quasi terminato. Per quanto riguarda gli ascolti credo siano serviti tutti, dal rock al punk alla musica classica. Mi piaceva tutto e tutto mi è servito. Col passare del tempo però ho abbandonato alcuni generi come il punk perché avevano smesso di darmi stimoli. Credo di aver veramente cambiato modo di ascoltare la musica quando fui obbligato ad ascoltare Jazz: all’inizio non mi piaceva, non lo capivo. Poi studiando al conservatorio e capendone il linguaggio (per quanto possibile, perché secondo me la musica non è capibile completamente) me ne appassionai! Il vero salto di qualità lo si fa quando non ci si ferma alla prima impressione, al primo “non mi piace” ma si cerca di capire! E di questo me ne accorsi grazie al Jazz. Quindi lo reputo il mio ascolto più importante e che mi permise di migliorarmi molto.
M.S.: Per me la musica è sempre stata un bisogno. Sin da piccolo mio nonno e maestro di pianoforte Luigi Scomparin mi ha insegnato ad amare la musica e sin da allora gli sono grato ogni volta che ricordo quanto ami esprimermi con essa. Per il resto ringrazio enormemente i ragazzi del gruppo e altri preziosi amici che con la loro pazienza e cultura hanno saputo farmi crescere, credere e riflettere sul mio contributo alla musica di Quarto Vuoto.
L.V.: Io ho cominciato ad appassionarmi di musica e a suonare all’età di 14 anni. A 17 mi sono iscritto al Rock Institute di Treviso, un’accademia privata che rilascia diplomi (riconosciuti dall’Unione Europea) del Trinity College. Lì ho avuto come insegnate Alberto Milani, un eccezionale chitarrista e turnista il cui stile varia agilmente dalla fusion al grunge. Lui è sicuramente stato un’influenza fondamentale per la versatilità e l’apertura mentale verso l’arte musicale e l’approccio allo strumento. Parlando più strettamente di ascolti, invece, da ragazzino sono partito dall’hard rock e il blues-rock, evolvendo pian piano verso prog e fusion, nelle loro mille sfaccettature, o comunque musica che trovo innovativa e ben fatta.
Il vostro primo lavoro, che vi vede in quintetto con la presenza di Federico Lorenzon, è l’EP omonimo (2014). Vi va di raccontare la genesi dei vostri primi brani e il momento in cui è scoccata la “scintilla prog” che vi ha fatto virare dall’esecuzione di cover dei primissimi esordi alla scrittura di brani inediti?
E.C.: In realtà non c’è mai stata una vera e propria scintilla prog, abbiamo sempre deciso di comporre i brani unendo i gusti e le idee di ognuno perché ciò ci permetteva di esprimere il nostro vero gusto musicale.
N.D’A.: Non ci diamo mai vincoli di genere ma tutto si basa sul nostro gusto artistico, l’obbiettivo è esprimersi. Tutto il resto è una naturale conseguenza.
M.S.: La mia scintilla progressive non è mai scoccata e non penso scoccherà mai. O perlomeno, in senso stretto, non sarò mai in grado di riconoscerla. Chiamo Progressive la vicinanza degli amici con cui suono, lo slancio artistico che mi porta a voler conoscere più di me stesso e degli altri con libera intimità musicale. E così la genesi dei nostri primi brani è stata puramente sognatrice. Ricordo che Zattera della Medusa è stata composta quando avevo 21 anni. Sento ancora l’emozione e l’entusiasmo di quell’età, di aver voluto dedicare un intero anno della mia vita nel voler rincorrere con Quarto Vuoto l’ambizione di comporre un brano che fosse esatto, perfetta rappresentazione del sentimento verso quel nostro io, quella nostra musica. Un dolce pensiero verso Tornerò, altro brano d’esordio del gruppo (2011) e di cui ne abbiamo sempre difficilmente colto il ruolo, l’essenza. Improvvisamente la sua vera natura si è rivelata nel 2017 quando Tornerò ha voluto prendersi la responsabilità di concludere il complesso percorso di “Illusioni”. Lei sapeva già da tempo di esserne all’altezza, siamo stati noi a dover crescere per capirlo.
L.V.: All’inizio, ogni tanto si parlava di “quale genere volessimo suonare”, ma in realtà, quando abbiamo affrontato le prime composizioni, non ci siamo mai posti realmente questo problema. Abbiamo cercato di realizzare qualcosa che, senza vincoli, soddisfacesse i gusti e l’espressione artistica di ognuno, che a volte sono molto vicini, altre volte decisamente meno!
Nel 2015 Lorenzon lascia la band. Da questo momento avete intrapreso “una via che ci sembra più stimolante, più probante per le nostre capacità compositive e tecniche”. Cos’è, dunque, effettivamente cambiato, secondo il vostro punto di vista, con la formazione a quattro e l’esclusione della voce nel vostro modo di fare musica?
E.C.: La decisione di intraprendere strade diverse è stata consensuale, inizialmente ci ha privati di alcuni riferimenti e idee ma è stata una buona occasione per mettersi in gioco. Il desiderio di scoprire nuove sonorità e di sperimentare è stato la benzina che ci ha permesso di riscoprire noi stessi. Abbiamo trovato un nuovo linguaggio espressivo e una nuova identità che ci piace e ci soddisfa.
N.D’A.: Non è un’esclusione dettata da noi, ma anche in questo caso è il modo con cui ci veniva spontaneo comporre che ha portato a questa formazione. Non chiudiamo nessuna porta, se in futuro la nostra musica avrà necessità di un’altra formazione saremo pronti a cambiare! Per ora però in questo modo sentiamo di avere più libertà compositiva e stiamo sperimentando in questo senso.
M.S.: Nel 2015 il percorso di Quarto Vuoto si è separato da quello di Federico con consensuale decisione da ambo le parti. La separazione mi ha lasciato molto confuso non sapendo bene come interpretare questo cambiamento. Cambiamento non solo nel modo di far musica ma anche nel concepire il significato del mio ruolo di tastierista nella band. Poi qualcosa è accaduto: tutte le cose si sono riequilibrate spontaneamente e la musica ha tramutato le incertezze in identità, ha riempito di nuovi colori e deboli sfumature le nostre note. È un po’ come stare fermi ad ascoltare concentrati il silenzio ed accorgersi che in mezzo a questo nulla cerchi di sussurrare la tua espressione.
L.V.: La voce a volte può essere un “limite”, anche in senso positivo e per certi aspetti didattico: cioè di imparare a non suonare troppo quando l’attenzione dell’ascoltatore dev’essere su di essa. Anche per questo la strada strumentale ci ha dato una grande libertà che ci permette, dal nostro punto di vista, di comunicare in maniera più ampia con chi ascolta la nostra musica. A volte è difficile, perché tenere alta l’attenzione senza voce può essere complicato, soprattutto se non si vuole rischiare di cadere nei soliti stilemi. Chiaramente nessuna via è giusta o sbagliata: continuiamo ancora oggi a farci influenzare da molta musica cantata, come, allo stesso tempo, avevamo brani strumentali anche con Federico nel gruppo.
Il 2017 è l’anno del concept album “Illusioni”, il vostro secondo lavoro. Avendo avuto il piacere di recensire entrambi gli album, ho riscontrato una notevole evoluzione (in positivo) nella vostra proposta e una virata “verso la sperimentazione, le atmosfere kraute, l’elettronica, tutto arricchito da interessanti passaggi post rock”. Dal vostro punto di vista quali sono le differenze sostanziali tra i due lavori? Siete soddisfatti del prodotto finale e dei progressi compiuti?
E.C.: Siamo molto soddisfatti del nostro primo album! Rispetto all’EP c’è sicuramente più consapevolezza e più maturità nella musica che abbiamo composto. Ci auguriamo sia un buon inizio per un percorso di crescita.
N.D’A.: Soddisfatti come inizio! Ma il percorso è lungo! E noi abbiamo molto altro da dire.
M.S.: “Quarto Vuoto” ed “Illusioni” differiscono essenzialmente per consapevolezza e maturità artistica: non è che un album sia più bello o completo dell’altro, sono solo due fasi differenti di un percorso. Con “Illusioni” abbiamo cercato di realizzare un progetto espressivamente e comunicativamente completo, prendendoci la totale responsabilità di rappresentare noi stessi nei limiti e nelle soddisfazioni della nostra esperienza di artisti. Personalmente sono estremamente soddisfatto dei progressi compiuti e non nascondo l’emozione nel pensare come tutta questa avventura (dalle registrazioni a questa intervista) si sia basata sulla realizzazione delle nostre idee, la nostra musica. Insomma, qualcosa che non puoi né vedere né toccare.
L.V.: Le differenze le hai già sottolineate bene nella recensione al disco! Aggiungiamo che ci siamo lasciati influenzare molto di più anche dal jazz, soprattutto contemporaneo: le armonie sono infatti molto più complicate in “Illusioni”, com’è probabilmente giusto in un lavoro strumentale. La soddisfazione è tanta perché eravamo consapevoli di proporre un lavoro di difficile ascolto (quantomeno per chi non è abituato alla musica progressiva), ma la critica specializzata l’ha accolto molto positivamente e spesso sottolineando una crescita che noi percepivamo, ma che non eravamo affatto sicuri che sarebbe stata apprezzata, avendo un punto di vista “dall’interno” ed essendo dunque di parte!
Come detto, “Illusioni” è un concept album in cui “attraverso la nostra musica vogliamo narrare e descrivere la percezione che ha l’uomo della realtà che lo circonda”. Ma come nasce la scelta del tema e come si riesce ad illustrare le sei fasi della percezione umana che vanno dall’infanzia alla realizzazione del proprio percorso di vita utilizzando esclusivamente i suoni?
M.S.: Per comunicare occorre sempre un linguaggio, semplice o complesso che sia. La dimensione delle “Illusioni” in cui vogliamo immergerci si proietta in un piano estremamente introspettivo, un luogo intimo ed etereo che può essere raggiunto solo con il conforto e la sincerità di una pulsione primordiale del nostro essere. Quando componiamo sono i suoni a risvegliare in noi questa profondità e, fedelmente al significato di Rub’ al-Khali, la nostra missione è stata quella di evocare il compimento del concept affidandoci esclusivamente ad un linguaggio puramente sonoro che, grazie alla sua universalità emotiva e istintiva, è in grado di astrarre raggiungendo su misura e al punto giusto questa percezione.
L.V.: Curiosamente la scelta del concept è arrivata quando avevamo pronti cinque brani su sei. Noi quando componiamo cerchiamo sempre di trasferire in musica delle sensazioni, delle emozioni. Quando stavamo “tirando le somme” in vista dell’album, ci siamo resi conto che c’era un filo conduttore che legava tutti i brani (tra cui “Tornerò”, che è stato composto prima di alcuni brani dell’EP!) e cioè i modi di guardare alla vita secondo diverse prospettive, tipiche di diverse fasi della dell’esistenza. In esse si dà importanza a cose diverse: da qui la riflessione su cosa è veramente fondamentale e se lo è veramente. Oppure se costruiamo noi la convinzione dell’importanza di alcune cose, per darci uno scopo, attraverso le illusioni appunto.
Una novità importante che riguarda “Illusioni” è la presenza di un’etichetta discografica, la sempre attenta Lizard Records. Come nasce il rapporto con Loris Furlan e qual è la sensazione che si prova nel lasciarsi alle spalle l’autoproduzione?
M.S.: Il rapporto con Loris Furlan è nato in modo “progressivo”: spensierate chiacchierate musicali con lui e l’amico Pierpaolo Lamanna che presto si sono concretizzate nel sogno di realizzare un album assieme. L’esperienza di collaborare con Loris è stata estremamente entusiasmante e spontanea, indice della qualità e del rispetto che l’etichetta Lizard dedica all’espressione musicale nelle sue forme più individuali e peculiari. Direi una valida esperienza oltre l’autoproduzione che ci ha fatto conoscere molte persone e realtà del genere.
L.V.: Loris lo abbiamo conosciuto dopo aver pubblicato l’EP tramite il nostro amico Pierpaolo Lamanna di Moving Records and Comics, un bellissimo negozio di dischi a Villorba (TV). Sicuramente la loro presenza ci ha dato maggiore consapevolezza. Il primo disco lo avevamo realizzato sostanzialmente senza sapere cosa stessimo facendo, ma quasi solo perché avevamo vinto tre giorni in studio di registrazione con un concorso. Questa volta, grazie anche all’aiuto di Loris Furlan, avevamo invece le idee decisamente più chiare.
Concentriamoci un attimo sul fronte live. Qual è la situazione attuale del nostro paese? Ci sono abbastanza spazi per poter crescere e far conoscere il proprio prodotto per una giovane band, ma già con un importante “curriculum”, come la vostra?
E.C.: La situazione è molto difficile, non ci sono molti luoghi dove un gruppo può suonare ed esprimersi. Ci vorrebbe un radicale cambio di rotta.
N.D’A.: Purtroppo la situazione è preoccupante. Vi dico solo che per la maggior parte dei datori di lavoro far suonare è considerato un favore che fa il gestore al musicista.
M.S.: Purtroppo di spazi per poter crescere ce ne sono pochi, o meglio, ce ne sono ma è difficile crearsi anche la sola opportunità di provarci. Per fortuna nel nostro percorso abbiamo trovato realtà sensibili a tale problematica e per questo siamo sempre grati a tutti coloro che con un loro mattoncino ci aiutano a costruire la nostra esperienza. Colgo l’occasione per ringraziare a nome del gruppo Oriano Vanzetto dell’Altroquando, Vincenzo Vizzini e Franco Fonzo. Diciamo però che al momento percepiamo la nostra condizione come quella di una squadra che continua ad allenarsi senza aver la possibilità di giocare le partite.
L.V.: La situazione non è felice purtroppo. I posti che lasciano spazio alla musica originale ci sono, ma sono comunque pochi e qualche volta anche in quelli si entra tramite “raccomandazione” o seguendo mode stilistiche.
E qual è la vostra opinione sulla scena progressiva italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà?
E.C.: A mio parere molto buona, abbiamo conosciuto e sentito suonare molti gruppi validi e molto piacevoli. Sicuramente insieme si potrebbe crescere molto ma è necessario avere dei luoghi dove poterlo fare.
N.D’A.: Secondo me è positiva, vedo che ci sono molti gruppi che hanno voglia di far sentire la loro voce.
M.S.: Col tempo stiamo conoscendo di persona sempre più giovani gruppi progressive italiani. Salutiamo gli Eveline’s Dust, i feat.Esserelà, i Moorder, gli Aliante, i Tacita Intesa e tutte le band con cui condividiamo amicizia e bei ricordi. Ogni possibilità di confronto è sempre interessante e divertente, non sai mai cosa avranno follemente pensato altri artisti con esperienze e storie completamente diverse dalla tua! Però per far questo occorrono più occasioni di incontro, concerti in cui potersi presentare.
L.V.: La scena nazionale sembra davvero molto buona, il problema restano gli spazi in cui promuoverla e farla conoscere. Per fortuna ci sono persone come voi, Gianmaria Zanier, Fabrizio Stelluto o altri divulgatori musicali che fanno il possibile per far uscire allo scoperto gruppi come noi.
Cosa c’è nel prossimo futuro dei Quarto Vuoto? Ci sono novità che potete anticiparci?
E.C.: Spero che gli altri del gruppo mi rinnovino il contratto.
N.D’A.: Spero che non rinnovino il contratto a Edo.
M.S.: il futuro dei Quarto Vuoto non ha regole, è un po’ come navigar in un “Legno senza vela”. Sentiamo che sta evolvendo qualcosa di nuovo ma al momento è difficile da descrivere.
L.V.: Continuiamo a lavorare, cercando di migliorarci ed evolverci ulteriormente, ma ancora nulla di pronto per il momento. Speriamo di poter promuovere ancora “Illusioni”.
Grazie per la bella chiacchierata!
Quarto Vuoto: Grazie a te!
(Dicembre 2017)
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