Watcher of the Trees – Fireflies in the Wood

WATCHER OF THE TREES

Fireflies in the Wood (2017)

Autoproduzione

 

Dario Marconcini, poliedrico musicista, autore, compositore e produttore, dopo i tanti anni trascorsi tra The Electric Shields e Moonshiners, nel 2011 ha sentito l’esigenza di dedicare del tempo a sé stesso. Le giornate che seguono, interamente trascorse a contatto con la natura, a passeggio tra silenti alberi abitanti di boschi incantevoli nei pressi della sua casa di montagna a San Giovanni al Monte, lo stimolano, gli infondono l’energia giusta per scavare nella sua mente e nel suo cuore per trarne pensieri, idee, canzoni. Nasce così Fireflies in the Wood, il primo lavoro solista di Marconcini, celato dietro il nome Watcher of the Trees: il Guardiano degli Alberi.

Sono la bellezza e l’armonia di quei luoghi che dirigono la sua “penna” verso un mondo immaginario dove i protagonisti sono gli alberi secolari i quali osservano gli esseri umani che attraversano il loro tempo come piccole luci, ma splendenti e piene di cose meravigliose, e i testi, vere e proprie poesie da leggere con cura prima, durante e dopo l’ascolto (così come il breve racconto “L’Albero e la Stella” presente nel libretto), testimoniano questo rapporto simbiotico tra l’artista e la natura.

Fireflies in the Wood è un concept album che si sviluppa, dunque, su due livelli: tematico (la natura e l’uomo) e temporale (quattro stagioni che caratterizzano le esistenze di entrambi, la prima ciclicamente, la seconda in modo lineare: primavera-estate-autunno-inverno e infanzia-giovinezza-maturità-vecchiaia). L’aspetto lirico è calato ottimamente in un contesto musicale dalle atmosfere drammatiche e suggestive dove forte è la componente internazionale. Nel mix di alternative rock, progressive rock, rock sinfonico, psichedelia e melodia si percepiscono molte influenze che strizzano l’occhio al “lato tenue” di band quali Spock’s Beard, Soen e Riverside, passando per The Pineapple Thief e Steven Wilson solista sino a spingersi verso l’elemento romantico dei Real Illusion di “Impheria” ripulito dalle distorsioni massicce. Tutto è stimolante e cesellato ottimamente da Dario Marconcini (voce, programmazione tastiere e batteria, chitarre, basso, armonica) e dai musicisti che hanno collaborato con lui: Desireé Calzavara (violoncello), Flavia Depentori (piano acustico), Luca Martini (viola), Michele Gobbi (flauto), Michele Sartori (contrabasso), Stefano Roveda (violino), Marco Carner (chitarre), Nicola Cattoi (basso), Paolo Mairer (chitarre), Riccardo Miori (chitarre) e Alessandro Manente (basso).

Il viaggio tra gli alberi di Fireflies in the Wood prende il via tra grilli e labili note space con Trees of Light at Dawn: è la Primavera. È poi il candido e struggente piano nocenziano di Flavia Depentori, affiancato poco oltre da un crescendo poetico di archi e flauto, a prendere in mano le redini del brano, sfociando in una imponente cavalcata sinfonica, prima di “ripiegarsi” su sé stesso. Partenza da incorniciare.

Avvio a tratti alienante per Watcher of the Trees, con suoni che si scontrano cercando una direzione e che trovano un ordine grazie all’ingresso della voce graffiata e calda, alla Runal di Ifsounds, di Marconcini e alla soffice acustica di Marco Carner. Prende così sostanza una ballata romantica, interrotta da un nuovo idilliaco intervento di archi affidati, come in precedenza, a Calzavara (violoncello), Martini (viola) e Roveda (violino), e flauto (Michele Gobbi), prima di riprendere il cammino con quel pizzico di verve in più offerto dalla batteria di Marconcini. I Watcher of the Trees regalano anche un inciso che centra il bersaglio già dal primo ascolto (And it’s breathing / Along the streams / Among the trees / In the wind it’s living).

Trees / The breathing of the Earth / Eyewitness in the sky / Words whispered by the birches / Written on wings of butterflies […]. Le chitarre e la centellinata elettronica che ci accolgono in Trees s’intrecciano senza patemi creando un suadente strato che sorregge il canto di Marconcini. A seguire, la tastiera “acquosa” dello stesso padrone di casa introduce un flusso più compatto ma privo di forzature, prima che le invasate pelli programmate dallo stesso si lancino in una folle corsa.

E l’Estate prende il via con Trees are Blooming. La capacità di risultare dolce e romantico con una voce roca non è qualità da tutti e Marconcini ne è in possesso. Tanto di cappello. L’abile sarto che lo abbiglia, inizialmente, è il piano, con il tocco di batteria che cresce facendosi impetuoso. Le aperture ariose degli archi portano un piacevole senso di pace lanciando poi l’assolo di Paolo Mairer e il corposo segmento finale lasciando respirare un’aria che, nel complesso dell’episodio, richiama i Soen di brani come “Lucidity” o “Lotus” o i Real Illusion “tenuti a freno”. […] The trees are blooming / Soon I will wear cherries on my ears / Running in the bright light / Of the sunny afternoon of June / The mothers’ laughter / The ninth moon has been eclipsed / A shot of sickle / And a thousand butterflies reborn in the wind.

Come una leggera pennellata giunge The Beech and the Birch. I lievi tocchi mediterranei di Riccardo Miori si fondono perfettamente con i gli archi carezzati e le soavi note del piano. In questo dolce mare la voce di Marconcini può tuffarsi in tutta sicurezza ([…] Sing me so that I can rest / Wake me so that I can be fed / Sing me so that I can rest / Wake me so that I can be enhanced […]).

Delicatamente prende il via anche Standing Still as Stony Trees, poi le ritmiche impongono il proprio ritmo e le distorsioni e le tastiere si lasciano trasportare. L’articolazione che segue è ben congegnata, con il canto di Marconcini solito trascinatore emotivo e i compagni di viaggio che s’intersecano a meraviglia mutando pelle di sovente (accanto alle chitarre e alla programmazione di batteria e tastiere dello stesso Marconcini troviamo anche il basso di Nicola Cattoi e la chitarra di Stefano Roveda).

Tanta poesia in The Shadows of the Trees, con il “viaggio a due” piano-voce e l’elettronica (tutto sgorga dalle mani e dall’ugola di Marconcini) che “canta” in sottofondo avviluppandoli. A seguire un moto di ripresa, con le ritmiche che inseriscono i loro battiti nel discorso iniziale, scalfendolo di poco, e l’ascesa di un elemento drammatico che impreziosisce il tutto. […] Droves of men / Encased in their ivory towers / An uncoloured world / Made so small and weak / A bird with broken wings / Lies in the indifference / The bringer of dreams / Collects him with disregard / But you’ll always be the old and big Tree / That watches over the Creatures and the Earth / Remaining in the silence of your own shadow / Luckily you are here and there. È il brano che ci introduce nell’Autunno.

Melodiosa prende vita The Tree with the Spoon, una sorta di ninna nanna caratterizzata dal peculiare timbro vocale di Marconcini che acquista spessore col trascorrere dei secondi grazie al continuo pulsare del basso di Cattoi e alle sferzate distorte di Carner. Poi tutto sembra perduto, le tenebre giungono minacciose per essere ben presto spazzate via dall’articolata andatura messa in piedi dei tre.

Here we are / Like trees in November / The glowing summer / Has wrecked under blue skies / We are going to face / Our longest winter / As the trees in November / Could we still wait / The colours of spring? […]. Una distensione floydiana fluisce nelle note ipnotiche e diluite di Trees in November, una sensazione preservata in seguito con l’ingresso della voce e il successivo assolo dal tocco gilmouriano. In tutti gli “anfratti” del brano risuona la maestria della leggenda britannica.

L’Inverno giunge nelle note vibranti e caleidoscopiche di The Old ManTree. Se nella prima parte del brano Marconcini e soci puntano soprattutto su soluzioni poetiche e struggenti, con un ottimo intreccio tra corde, ritmiche e voce, e con il piano di Depentori che aggiunge il “carico”, nella seconda esplode tutta l’anima progressiva del progetto. […] The youth hanging by a brittle twig / Swings like a red rag at the memory wind / Just like inside a fallen leaf and never forgotten / Lies the illusion to be survived at times / Small saplings once shrubs / Brighten the days still surprised by curious lives / The wise teacher says, doesn’t teach / The good student listens and so learns / It’s like this, season after season / Changes come without warning / As well as vanish the silent shades footprints / In the dim light of the Big Dipper […].

I Remember the Trees a prima vista può sembrare aggressiva ma è “solo apparenza”. Dietro i colpi netti di batteria c’è la solita poesia drammatica che viene guidata sapientemente dalla voce di Marconcini, con le “grattate” dolorose di Paolo Mairer a descrivere molto bene lo stato d’animo di fondo (insieme al basso e all’acustica).

Si chiude con Anthem to Trees. Nelle prime note avvolgenti rivive l’atmosfera magnetica di “Nothing Else Matters” dei Metallica, poi l’episodio prosegue attraverso un flusso soffice che trova nella solita affascinante voce di Marconcini e nei tenui arpeggi dello stesso e di Elias Oberschmied gli intrepreti principali. Nella seconda metà il brano deflagra e dà il La ad un lunghissimo assolo. E sul finire un velo elettronico fa calare il sipario su Fireflies in the Wood.

Moment has come / To go out to see the stars / Moment has come / To see the stars again.

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